TASSA SUL BANCOMAT
FONTE VIRGILIO
29/07/2015 – Nonostante il rincorrersi di voci, smentite e rassicurazioni varie, non ci sarà alcun ripensamento da parte de Governo su quella che è stata battezzata la “tassa sui bancomat”, ossia l’ormai famigerato comma 7 bis della delega fiscale che va a sanzionare i prelievi non giustificati allo sportello del bancomat. La norma, in particolare, autorizzerà il fisco a verificare l’uso del contante prelevato dai contribuenti. Ma vediamo nelle slides seguenti di cosa si tratta.
LA NORMA – Si sta scatenando una vera e propria bufera mediatica sull’intenzione del Governo di ripristinare i controlli sulle somme in uscita dai conti correnti, andando a (ri)tassare – anche pesantemente – tutto ciò che non potrà essere giustificato. Una misura non ancora approvata, ma che, qualora diventi legge, benché con il nobile tentativo di combattere l’evasione fiscale, imbriglierà le mani di tanti possessori di conti correnti bancari e postali.
CHI COLPISCE – Quella che è stata battezzata la tassa sui prelievi al bancomat si applicherà solo agli imprenditori, non quindi ai professionisti e, indiscriminatamente, a tutti i possessori di partita IVA. Inoltre, rispetto al passato, non sarà prevista la sanzione in via un automatica (consistente nel considerare ricavi occulti le somme prelevate dal conto corrente che non trovino giustificazione in contabilità ), ma ci sarà una sanzione proporzionata all’importo prelevato (dal 10 al 50%) di cui sia ignoto il beneficiario e che non risulti dalle scritture contabili. Come dire che la sanzione scatta tutte le volte in cui, per ogni pagamento, non venga indicato il relativo beneficiario (attraverso l’ordine di bonifico o dalla contabilità interna). È quanto chiarito dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, che tenta – in una relazione a propria firma – di chiarire tutti i dubbi generati dalla stampa nelle ultime ore in merito alla nuova norma in corso di approvazione con la delega fiscale.
L’ASPETTO COSTITUZIONALE – C’è chi parla, allora, di introduzione dell’obbligo di tenuta di libri contabili familiari e personali, con conservazione di scontrini e ricevute per poter documentare, anche a distanza di molto tempo, come sono stati spesi i soldi; c’è chi, invece, continua ad essere scettico sulle possibilità che l’Agenzia delle Entrate effettui controlli di questo tipo, posto peraltro il recente intervento della Corte Costituzionale la quale, solo lo scorso anno, ha liberalizzato tutti i prelievi dal conto corrente per i liberi professionisti. Infatti, non è una novità , per la nostra legge, quella di voler controllare i prelievi. Nella finanziaria del 2005, infatti, approvata dal Governo Berlusconi, fu previsto un provvedimento del tutto simile a quello attuale, poi però dichiarato incostituzionale grazie a un contribuente che, nell’arco di un anno, fu pizzicato a prelevare ben 50mila euro dal bancomat. Il fisco gli chiese spiegazioni e lui non seppe fornirle. Così, il soggetto fece ricorso alla Consulta, vincendo la partita. I giudici della Corte Costituzionale, infatti, gli diedero ragione, stabilendo che la norma in questione andava contro il principio di ragionevolezza e di capacità contributiva. In pratica, la sentenza ha sancito l’illegittimità della presunzione secondo cui i prelievi non giustificati degli esercenti arti e professioni costituissero compensi evasi.
LA NUOVA FORMA – Ora però la stessa norma torna a fare capolino, sebbene in forma corretta e aggiornata, con aggravanti ai danni dei contribuenti. Sull’uso del contante infatti, non scatterebbe più una sorta di presunzione legale da parte del fisco, ma tutti i possessori di partita Iva, sarebbero costretti a dimostrare attraverso giustificativi, l’uso che hanno fatto del cash. Pena, come detto, una sanzione che andrebbe tra il 10 e il 50% della somma ritirata al bancomat.
Detto in altri termini, la novità è che, invece di presumere, in sede di rettifica della dichiarazione dei redditi, che i prelievi siano sempre ricavi in “neroâ€, ora tali somme saranno esclusivamente colpite da una sanzione commisurata al loro ammontare, ossia dal 10 al 50% della somma stessa. Si tratta, quindi, di una sanzione proporzionata – come fa rilevare la Orlandi, direttrice delle Entrate – alla capacità contributiva de singolo.
IL PARADOSSO – In questo modo, i contribuenti saranno costretti a richiedere sempre scontrini e fatture ai venditori e a non accettare mai di pagare in nero. In questo modo, forse, l’intento del Governo di eliminare il contante e contrastare l’evasione sarebbe in parte raggiunto, anche se ad essere principalmente colpita sarebbe la capacità di spesa delle famiglie e la stessa semplicità di utilizzo dei conti correnti: un’imposizione quasi paradossale se si considera che, in numerosi casi, non vengono rilasciati scontrini (si pensi ai distributori automatici, ai giornalai, al pieno di benzina, alle sigarette, ecc.).
L’AGENZIA DELLE ENTRATE – Il direttore dell’Agenzia entrate crede allora di rassicurare, quando dice che “non ci sarà la sanzione dal 10% al 50% delle somme prelevate dai conti bancari intestati alle imprese qualora, in caso di accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, le modalità di utilizzo di tali prelievi non siano giustificate dalle aziende stesseâ€. Ma di fatto, non fa che confermare le preoccupazioni. Per milioni di partite IVA il semplice ritiro di contante al bancomat potrebbe, dunque, a breve, diventare operazione quanto mai sospetta per il nostro fisco.
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