Sant’Elia Fiumerapido-È pronto “Il Foglio volante” di dicembre 2010

COMUNICATO STAMPA

 *    *    *“Il Foglio volante” di dicembre 2010, che viene spedito agli abbonati in questi giorni, è un numero speciale dedicato alla XIII edizione del Premio di Poesia “Città di Sant’Elia Fiumerapido” e vi compaiono, oltre all’articolo di apertura e al verbale della Giuria, i testi poetici dei primi tre classificati, Giancarlo Interlandi, di Acitrezza, Ambra Simeone, di Gaeta e Carla Baroni, di Ferrara. Vi sono inoltre le firme di Bastiano, Enzo Bonventre, Loretta Bonucci, Amerigo Iannacone.

Chi desideri ricevere copia saggio, la può chiedere a uno degli indirizzi: edizionieva@libero.it, edizionieva@edizionieva.com, opp. per telefono al n. 0865.90.99.50.

Riportiamo, qui di seguito, la poesia vincitrice del Premio “Sant’Elia” e una lettera di Carlo Minnaja con un ricordo di Giuliano Manacorda.

 

 

Ricordo di Giuliano Manacorda

 

Leggo soltanto sul “Foglio” di ottobre, con tristezza, pur senza stupore, della morte a oltre 90 anni di Giuliano Manacorda. Vorrei anch’io contribuire nel mio piccolo ad un omaggio all’Uomo, dal quale mi hanno sempre diviso idee e parametri di giudizio, ma del quale ho sempre sentito una forte influenza.

Fu mio professore di storia e filosofia al liceo “Mamiani” di Roma nel biennio 1956-1958, dunque prima che le sue doti di critico letterario lo portassero all’insegnamento universitario di letteratura italiana. Spiegazioni chiarissime, appassionanti, coinvolgenti; interrogazioni istruttive, educative, mai noiose; voti equilibrati che riconoscevano a tutti il giusto merito. Esigente, sí, ma mai scioccamente pignolo.

Nel rileggerne oggi i necrologi che non avevo visto a suo tempo ritrovo, ovunque ripetuto, quello che avevo percepito da alunno: una indefettibile adesione, quasi religiosa, al marxismo. In un ambiente come quello degli insegnanti medi a Roma, conservatore con un occhio molto nostalgico al passato regime, essere un comunista militante, “fare politica in classe” era certamente un atteggiamento dirompente che suscitò in noi ragazzi passioni di opposti segni. Certamente la mia (seconda) laurea in storia, presa a 66 anni a Venezia, fu un ricordo di Lui, e mi ero proposto di andare a Roma a dirglielo, per mostrargli come, a decenni distanza, la sua influenza su di me non si fosse sopita. Purtroppo non ne ebbi occasione.

Ricordo, in una classe che scioperava in solidarietà con Nagy, la sua giustificazione della repressione della rivolta ungherese del 1956, e ricordo il suo destreggiarsi nei commenti sui crimini di Stalin denunciati da Krusciov al XX congresso del PCUS. Ci pareva che si arrampicasse sugli specchi, per non riconoscere quanto a noi pareva ovvio, cioè il fallimento dell’ideologia comunista cosí come trasposta nei regimi dell’Europa orientale. Fu coerente anche in una vivace discussione con me sulla validità dell’esperanto, che egli vedeva ancora nell’ottica gramsciana, che a me sembrava già allora largamente superata dalla storia. Ma nonostante queste differenze di fondo, oggi rendo volentieri onore alla sua competenza, alla sua passione di insegnante, alla sua capacità di invogliare i giovani allo studio della storia. La scuola attuale avrebbe estremo bisogno di professori come è stato Giuliano Manacorda.

 

Carlo Minnaja

 

 

Il mio destino di figlio

E penso ai papaveri – padre –

che accarezzavi con lame taglienti di falci

con vomeri aguzzi d’aratri

e alle viole strappate dell’orto

che dissodavi con mani voraci di zappe

E penso al tuo pane ora – madre –

che lievitava fra i palmi

delle tue bianche mani di ninfa

e alle vendemmie e alle trebbie

alle innocenti farfalle stanate

da splendidi fiori di campo

Io se nacqui e ora sono

cosí come sono e non altro

lo devo a quei pugni

che hanno gettato semi nei solchi

lo devo alle palme

che olezzavano sempre di pane lo

devo a un aratro

che ha scritto un giorno una storia cosí

E quella storia ora – padre –

è il mio destino di figlio

Ma le mie mani

ora non fanno piú gesti cosí

Io non tocco altro aratro

che quello di penne sui fogli

io non faccio

che ungere un solco di pianto

che mietere un verbo nell’anima

che seminare assurde parole

nell’orto deserto del foglio

dove rintoccano – padre –

ore pesanti di piombo

echi lontani di vanghe

Ma se io sono cosí come sono

e non altro

lo devo solo a quei gesti

a quei tonfi a quei passi

a quel continuo affannarsi di mani

a quel lento rullare di falci e di zappe

La vera storia – sai padre –

non è quella scritta sui libri col sangue

ma quella che tu hai scritto per terra col sale

e col miele inebriante

del tuo piú ingenuo sorriso nell’anima.

            Giancarlo Interlandi

            Acitrezza (Catania)

Primo classificato al Premio “Città di Sant’Elia Fiumerapido” 2010.

Foglio_Dicembre_2010

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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