SANTA MESSA DOMENICA 26 MARZO
LA PAROLA
26 marzo 2017
Domenica
San Teodoro
4.a di Quaresima – IV
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla
Liturgia: 1Sam 16,1b.4.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41
PREGHIERA DEL MATTINO
Fa’ che io apra i miei occhi per diventare capace di vedere mia sorella e mio fratello.
Fa’ che io apra il mio cuore perché osi amare mia sorella e mio fratello.
Fammi il dono della parola giusta affinché io riesca a difendere la tua causa.
ANTIFONA D’INGRESSO
Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione.
COLLETTA
Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
PRIMA LETTURA (1Sam 16,1b.4.6-7.10-13)
Davide è consacrato con l’unzione re d’Israele.
Dal primo libro di Samuele
In quei giorni, il Signore disse a Samuele: “Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re”. Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato.
Quando fu entrato egli vide Eliab e chiese: “Certo davanti al Signore sta il suo consacrato!”. Il Signore replicò a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”.
Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: “Il Signore non ha scelto nessuno di questi”. Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose Iesse: “Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge”. Samuele disse a Iesse: “Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: “Àlzati e ungilo: è lui!”. Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.
Parola di Dio.
SALMO RESPONSORIALE (Dal Salmo 22)
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Mi guida per il giusto cammino,
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
SECONDA LETTURA (Ef 5,8-14)
Risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà .
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà , giustizia e verità .
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte queste cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: “Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà “.
Parola di Dio.
CANTO AL VANGELO (cf. Gv 8,12)
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!
Io sono la luce del mondo, dice il Signore;
chi segue me, avrà la luce della vita.
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!
VANGELO (Gv 9,1-41)
Andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.
Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e là vati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età , parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età : chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà , egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
Parola del Signore.
OMELIA
Così finisce il miracolo di Gesù, narrato nel Vangelo di San Giovanni, riportato in questa quarta domenica del tempo quaresimale. Consideriamo tutto l’episodio per comprendere, nella sua completezza, questo atto di fede di un cieco nato, guarito miracolosamente da Gesù. Egli, passando con i discepoli, nota la presenza di questo cieco. È l’occasione per i discepoli di porre un interrogativo importante. Secondo la mentalità dell’epoca, la malattia è segno di un castigo divino. Il loro pensiero è immediato. Qualcuno deve aver peccato, forse lo stesso cieco; la sua malattia però è congenita e quindi può anche essere – secondo il filo di questo ragionamento – che egli subisca la pena per delle eventuali colpe dei genitori. Gesù risponde ai discepoli e ribalta il loro ragionamento. In una malattia vi è senz’altro il segno della permissione divina ma è anche un evento naturale che può e deve essere vissuto nella fede e per la fede. La guarigione fisica è importante ma non determinante. La guarigione è efficace se ad essa corrisponde un altro cambiamento. Gesù invita i discepoli a cambiare prospettiva. Non devono solo guardare la malattia ma rivolgere il loro sguardo su Gesù stesso. Già in questa esortazione vi è un atto di fede, perché la fede è guardare a Gesù per affidargli la nostra vita. Nella sua risposta, Gesù si proclama poi la vera luce del mondo, venuto a dipanare le tenebre del male. In questa risposta ruota tutto l’episodio, narrato con una particolare vivacità dall’evangelista. I Giudei che hanno assistito all’episodio interrogano prima i genitori e poi il cieco stesso e dimostrano così una durezza di cuori che impedisce loro di contemplare l’azione di Dio. Per loro gli occhi della fede brà ncolano ancora nel buio. Differente è invece l’atteggiamento del cieco dopo che ha riavuto la vista. Egli riconosce e poi testimonia della potenza di Gesù. Bella è questa figura del Cieco Nato che dimostra, con forza e simpatia, anche una certa ironia verso coloro che non si arrendono di fronte all’evidenza dei fatti. Il miracolato poi con il suo atto di fede finale testimonia Gesù come il Figlio di Dio. I miracoli da lui effettuati allora non sono espressioni di capacità inspiegabili alle menti delle persone ma rappresentano la presenza di Dio incarnata. Gesù, quando opera i suoi miracoli, ha presente sempre due aspetti. Da un lato vi è la necessità umana di soccorrere chi è nel bisogno. È l’amore di un Dio Padre che si rende vivo e visibile nel Figlio. È un Dio che ha lo sguardo misericordioso, che legge la profondità dell’animo umano e che vuole sempre la salvezza dell’anima. Gesù mostra questo Volto di Dio nel suo volto umano. Egli vede il cieco dalla nascita e vuole intervenire a suo favore. Proprio l’atto di fede del cieco miracolato è la risposta alla domanda dei discepoli. Possiamo allora anche noi aprire i nostri cuori, riconoscere in Gesù la vera Luce che illumina la nostra strada. (Padri Silvestrini)
PREGHIERA SULLE OFFERTE
Ti offriamo con gioia, Signore, questi doni per il sacrificio: aiutaci a celebrarlo con fede sincera e a offrirlo degnamente per la salvezza del mondo. Per Cristo nostro Signore.
ANTIFONA ALLA COMUNIONE
“Il Signore ha spalmato un po’ di fango sui miei occhi: sono andato, mi sono lavato, ho acquistato la vista, ho creduto in Dio”.
PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE
O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto, perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero. Per Cristo nostro Signore.
MEDITAZIONE
Parlare di guarigione significa anche parlare di quanto nell’uomo deve essere guarito. Noi siamo infatti sempre messi di fronte alla sofferenza e siamo sempre sorpresi dallo scandalo della malattia e della morte. Ci sentiamo sconfitti e oscilliamo fra la disperazione, la rassegnazione, la ribellione e il sacrificio.
Dal fondo della nostra sofferenza e della paura che le si accompagnano sale il nostro lamento, muto o espresso, mentre aspettiamo un buon Samaritano che si chini finalmente sulla nostra miseria per liberarci.
Nella visione cristiana, il male e la morte non sono né una fatalità biologica, né un caso, né un’opera di Dio, ma sono conseguenze della volontà prometeica dell’uomo di affrancarsi da Dio.
La prima conseguenza è che l’uomo perde la chiara visione di Dio, alla cui immagine è stato creato, ed è così separato dalla sua sorgente di vita. L’uomo deve allora cercare la mano di Dio come un cieco cerca una mano che lo soccorra; senza l’intervento della misericordia di Dio, che gli si rivela in un primo momento nell’Alleanza della legge, poi nell’Alleanza d’amore dell’incarnazione del Figlio, l’uomo va verso la propria rovina. Così, progressivamente, il Padre si mostra all’uomo perché l’uomo si scopra figlio.
La seconda conseguenza è che l’uomo non domina più, nell’amore, la creazione. Ciò che lo circonda gli diventa ostile; l’uomo scopre l’aggressione essenziale, la relazione di non amore con tutte le sue ferite: rifiuto, frustrazione, disprezzo, ingratitudine, che sono tutte fonti di dolore, di disperazione e di malattia.
Creato per vivere nell’armonia, nella pienezza di una relazione d’amore con il Creatore e con la creazione, l’uomo soffre di non poter amare ed essere amato. È lacerato dal conflitto generatosi in lui in seguito a queste rotture. L’uomo vuole la vita e la scopre nella sofferenza perché non è amato gratuitamente come invece si attenderebbe, perché le sue paure gli impediscono di lasciarsi amare con fiducia e di amare nel dono e nell’abbandono. Così, è nella sofferenza che si situa spesso il punto d’incontro dell’uomo con Dio.
Dio assume su di sé, nel Figlio, tutta la sofferenza dell’uomo, accetta che “l’Amore non sia amato”. È per mezzo delle sue sofferenze che noi siamo salvati e riconciliati con Dio. Io posso credere nell’amore di Dio per me personalmente; non si tratta soltanto di parole; egli me ne dà qui una prova ultima e definitiva.
Gesù Cristo mi guarisce e mi salva restituendomi alla mia finalità : vivere nell’amore.
Mi guarisce e mi salva dando un senso a tutte le mie sofferenze.
Mi guarisce e mi salva liberandomi dal male e dalla morte.
Noi scopriamo infatti che:
– Essere malati e soffrire sono due condizioni diverse: anche se la sofferenza è spesso conseguenza della malattia, non succede sempre così. Io posso essere malato e non soffrire, oppure posso soffrire della malattia di un altro, di un mio caro, per esempio.
La malattia e il dolore sono legati al male e noi, seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo impegnarci in una lotta senza tregua contro di essi, chiedendo la guarigione dei nostri malati.
La sofferenza è legata alla nostra capacità d’amare. Non bisogna ingannarci nella lotta: la volontà di abolire la sofferenza può passare attraverso l’indifferenza, veleno mortale delle nostre società .
– Guarire e soffrire non sono due stati fra loro opposti: io guarisco quando scopro che la mia sofferenza, se guardata in modo nuovo, può avere un senso e che posso ricavare da essa dei frutti.
Che cos’è allora la vera guarigione per l’uomo?
La guarigione non è uno stato statico che si oppone alla malattia, così come lo stato di salute si oppone allo stato di malattia. È forse meglio parlare, più che di “guarigione”, di “guarire”: il verbo sottolinea meglio che si tratta di un processo dinamico in cui si entra e che è chiamato a proseguire sempre più profondamente, a svilupparsi durante tutta la nostra vita, in tutto il nostro essere: corpo, anima e spirito.
Guarire da una malattia non è semplicemente ritrovare lo stato di salute che precedeva il cadere malati. È anche integrare tutto ciò che è stato vissuto come una ricchezza nuova che fa sì che l’uomo ne esca trasformato. Egli “non vivrà mai più come prima”.
Guarire è ritrovare un’armonia che permette all’uomo di adattarsi nuovamente, cioè di vivere, di vivere in pace con se stesso, con gli altri e con Dio. E ciò attraverso tutti gli avvenimenti positivi o negativi della sua storia. Guarire è dunque riconciliarsi con quello che si è e questo fa sì che la vita presente sia come il risultato di un passato che si assume, insieme, come il punto di partenza verso un avvenire da costruire in funzione dell’essere “figli”. Guarire è dunque riscoprire il senso della propria esistenza, cosa che fa relativizzare molti avvenimenti. Quante angosce per il futuro cadono davanti a una tale presa di coscienza!
La coerenza e l’unità dell’uomo, corpo, anima e spirito, fanno sì che i diversi piani interagiscano fra loro, sia nel senso delle ferite, sia in quello delle guarigioni. Così il corpo non può guarire senza che l’anima e lo spirito non siano anch’essi toccati da questo cambiamento. E, viceversa, ogni volta che la nostra vita spirituale si espande, la nostra psiche e il nostro corpo ne saranno beneficati e, anzi, come spesso accade, essi saranno i testimoni esteriori del cambiamento che si è operato nell’intimo.
Come non esiste guarigione di una parte isolata senza che sia coinvolto tutto il nostro essere, così non esiste guarigione di un uomo solo, separato dal Corpo di Cristo.
L’uomo non può guarire senza Dio, la sua guarigione ha senso solo in lui.
È Dio che mi tocca personalmente poiché io conto ai suoi occhi come persona. Egli mi ama e me lo dimostra in modo tangibile. “Un povero grida e Dio lo ascolta”.
Dio mi rivela che il Regno è già in mezzo a noi: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,5). I segni che l’accompagnano mostrano l’efficacia della parola. La sua parola è amore e produce frutti d’amore: guarisce poiché si oppone alle opere del male che sono l’odio, la divisione, la condanna e i cui frutti sono la malattia e la morte. Questa parola è vera ancor oggi; tocca il mio cuore, mi riconcilia, mi pacifica, mi libera, mi converte, mi guarisce e mi salva.
Dio non può guarire l’uomo senza il concorso dell’uomo stesso:
– senza il suo desiderio di guarire, di lasciarsi trasformare;
– senza il suo rifiuto dei “benefici” affettivi o sociali che egli potrebbe ricavare dalla propria malattia;
– senza la sua accettazione di una vulnerabilità più grande poiché, con la conversione all’amore, l’uomo rinuncia ad utilizzare alcuni mezzi di difesa.
Dio vuole guarire l’uomo per mezzo del suo Corpo, la Chiesa:
– grazie alla mediazione dei fratelli. Questa tradizione risale alle origini stesse della Chiesa. I membri della prima comunità monastica di Alessandria si chiamavano “terapeuti”, che significa etimologicamente “servitori di chi supplica”. Il fatto che questo termine abbia assunto il significato di guaritore, mostra che esiste un legame stretto fra intercessione e guarigione, come si dice in Siracide: “Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani [dei medici]. Anch’essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita” (Sir 38,13-14);
– attraverso i sacramenti, segni efficaci dell’amore di Gesù Cristo che vive nella sua Chiesa.
Dio guarisce il suo Corpo mediante la guarigione delle membra di questo Corpo, poiché ciascuno di quelli che egli guarisce diventa suo testimone. Testimoniare la misericordia di Dio nella nostra vita significa edificare il Corpo.
“La guarigione è una forma di creazione” (Mons. Coffy) di colui che la riceve e, attraverso lui, di tutti.
FERNAND SANCHEZ