RIANDANDO A SEPULVEDA – LA MEMORIA
di Vittorio Russo
Convengo con amarezza su tanta “letteratura” inservibile. Sono dell’idea che lo strapazzato concetto di libertà , in nome della quale si commettono le peggiori sciocchezze, andrebbe educato secondo i canoni di quella che Socrate (Platone, in realtà ) chiamava “epistème”. Epistème è il pensare non corrotto dal prevalere di chi per abilità oratoria fa demagogia, spesso anche in forza della sua autorità o usando falsi sillogismi. Pensare in proprio, se si può dire così, magari con qualcuno che ti aiuta a “partorire†il tuo pensiero, equivale a educarsi. E, perciò, a crescere a ad aggiungere una nuova tessera al mosaico della civiltà umana.
Il grande serbatoio del sapere dei popoli è stato per una corona di millenni la memoria. È la memoria il più potente motore della civiltà umana. Questo fino alla scoperta della scrittura, che per alcuni filosofi greci (fra essi il solito incorreggibile Platone), era addirittura deleteria. La memoria dei nostri più remoti progenitori era prodigiosa perché esercitata prevalentemente in virtù del bisogno irriducibile di tramandare il modello culturale degli antenati. Spesso il loro ricordo, amplificato dalle narrazioni mnemoniche (un po’ quello che avveniva nel mondo greco del II millennio a.C. con rapsòdi e cantori girovaghi), assunse dimensioni di sacralità . Così, fino a plasmare leggende e racconti che si tradussero in miti e perfino in religioni.
La memoria è prima di tutto il luogo delle esperienze della prima età della vita. Quella in cui i sensi raccolgono il massimo delle percezioni perché sono al massimo del loro potenziale. È nell’età adolescente, infatti, che la memoria assorbe e archivia gli apprendimenti sensoriali. L’età adulta è quella che consente in seguito di interpretare secondo conoscenza, esperienza e ragione le acquisizioni mnemoniche della prima età . E con l’età della ragione, sulla quale ha a lungo indugiato Sartre con un tomo di un migliaio di pagine, che riusciamo a capire il senso riposto della cose. Per incredibile che possa apparire, è così che “educhiamo i sentimenti” (Galimberti dice “impariamo i sentimenti”).
Sì, perché i sentimenti si educano (imparano), prevalentemente attraverso la lettura. Se vogliamo un compendio universale, un manuale assoluto dei sentimenti, potrebbe bastarci la sola Iliade. Vi troviamo riepilogata tutta la gamma dei sentimenti: ira, amore, orgoglio, violenza, eros, amore coniugale, coraggio, vendetta, gelosia, sofferenza, compassione, indulgenza, arroganza, sconforto, amicizia, tenerezza, pietà (nel senso antico), desiderio, sogno e tutta una vastissima scala di sfumature che solo il Greco poteva tradurre con un numero sterminato di parole. Tante quante ne mancano a noi che ancora abbiamo bisogno del loro vocabolario per esprimere i nostri pensieri.
Quello che è stato scritto dopo, fino ai nostri giorni, fino a Sepulveda, magnifico cantore di fiabe e ultimo Esopo di saggezza, è solo sviluppo dei versi di Omero.