Quarta domenica di Avvento (A)
<<Commento di don Franco Galeone>>
Â
Â
Natale è la festa più sentita dell’anno. Dicono i bambini che il NaÂtale non dovrebbe finire mai, perché uomini e cose appaiono diversi, come fasciati da un’indefinibile bontà ; anche gli uomini logorati dal potere depongono le uniformi della vita professionale, dimenticano l’affanno quotidiano e ritornano all’innocenza delle origini. Il misteÂro poetico del Natale sta nel fatto che esso spinge l’uomo a rientrare in se stesso, nell’Aeternum internum, alla ricerca delle proprie radici, alla scoperta della propria infanzia. Riscoprirsi capaci di innocenza aiuta l’igiene mentale individuale e collettiva. Nella vita di ogni uomo c’è stata un’infanzia, fatta di sorriso, di pianto, di piccole mani tese. Il Natale è questo invito a guardare con occhio semplice le meraviglie della vita e della natura, perché dietro le stanchezze quotidiane – le assurdità , le sofferenze, la morte stessa – è possibile riscoprire il miÂracolo permanente della vita che rinasce, dell’eterna clessidra che ritorna!
Â
Natale: sul quadrante della storia, in un luogo geograficamente ben definito, ha fatto irruzione una «Parola» che ha spezzato il flusso inesorabile del Fato o dell’Eterno Ritorno per guidare la storia in alto e in avanti. C’è stato un arricchimento del patrimonio genetico, una immissione di nuovo sangue divino nella specie umana; perciò la condizione umana diventa passibile di una nuova ri-creazione, che prende continuamente corpo nel tempo e nello spazio, ed è parte del destino individuale e comunitario. Bisogna però fare attenzione che la nostra idea del Natale non ci giochi brutti scherzi. Possiamo essere ingannati da due equivoci:
Â
a) Primo equivoco: puntare sulle gioie, non sulla Gioia; questo è il caso in cui la parola «Natale» ha già subito una degradazione seÂmantica paurosa; come le parole «anima» che, per un fabbricante di botÂtoni, significa il dischetto ricoperto di stoffa e «spirito» che indiÂca la parte volatile del vino, ed ancora «salvare l’anima» o «vivere seconÂdo lo spirito» possono diventare espressioni di umorismo pickwickiano, così la parola «Natale» per molti significa ormai clientela, vacanÂza, regali, tredicesima, settimana bianca… Sono senza dubbio valori reali, ma non sono valori ultimi e definitivi perché le piccole e poche gioie della vita restano appena un segno della Gioia che Dio vuole donare all’uomo.
Â
b) Secondo equivoco: interpretare il Natale come commozione più che come conversione; commuoversi significa donare tutto finché il cuore è intenerito, per poi tornare come prima nel proprio guscio che potrebbe essere quello di Caino; convertirsi, invece, vuol dire cambiare mentalità , con la grazia di Dio. Provate a radunare gli anziaÂni attorno a un gruppo di bambini che cantano canzoncine di Natale: non è commovente? Costruite un presepio: non è toccante? Non sto dicendo che la commozione non sia buona; sostengo solo che comÂmuoversi non basta!
Â
Cosa fare? Ho letto su una pubblicità : “Metti Cristo nel tuo Natale!â€. Ecco, mettere Cristo nel nostro Natale e nessun altro, e niente altro. Provate a togliere Cristo dal presepio: tutto diventa subito vuoto e insensato. Cristo è quell’1 (Uno) messo davanti ai tanti 0 (zeri) della nostra vita!
Â
Â