Quando si dice i latticini di Agerola!
di Vittorio Russo
Mi sono chiesto più volte perché mai sono così buoni il fiordilatte affumicato di Agerola e il caciocavallino, detto Ciccillo. So per pazienza acquisita che le cose sono la forma fisica di una storia. In essa si nasconde sempre qualcosa che vale la pena di esplorare, svelare, raccontare.
I latticini di Agerola sono celebri da epoche immemorabili. E non è per caso. L’intero territorio dove sorge la città è dominato dai Monti Lattari. Si chiamano così dai tempi di Roma antica per via dei pascoli profumati che alimentano mucche il cui latte prodigioso gode di una meritata fama. Il latte antico si è però arricchito di un’aggiunta esotica. Eliminando qualche ulteriore ragnatela dalla faccia della storia, sono risalito alla singolarità di questo esotismo. Risale a un personaggio che è parte essenziale di questa vicenda. Un uomo così singolare che meriterebbe l’attenzione di una corposa biografia.
Si chiamava Paolo Avitabile, ma aveva una sfilza di altri nomi, come si usava nell’800. Era di Agerola. Soprattutto però era napoletano per spirito, intraprendenza, opportunismo e pulcinelleria in genere. Tipo manesco cui saltava subito la mosca al naso, decise di darsi alla vita militare. Non importava con chi, dove e perché. Militare solo per avere l’opportunità di menare le mani. In quell’Ottocento romantico e sognatore, Avitabile ne era l’antitesi. Si distingueva come colui che gli ammiratori dei generali chiamano “uomo valorosoâ€. Oggi si dovrebbe cominciare a sostituire l’espressione con “uomo sanguinario†e “uomo impietoso†(che è assai peggio di spietato). In lui la crudeltà si faceva rito, delirio, esaltazione. Aveva solo bisogno dell’occasione per esplodere. Ad Agerola qualcuno lo ricordava in passato come “ ‘O Chianchiere†(il Macellaio).
Oscuro sottufficiale di truppa nel Regno di Napoli agli inizi del 1800, passò con estrema disinvoltura al servizio di Gioacchino Murat. Del resto quale uomo d’arme del tempo poteva farsi scappare un soldato crudo come Avitabile? E Murat, che era un po’ il Marco Antonio del Cesare francese, Napoleone (che era anche suo cognato), lo promosse tenente per meriti di “violenzaâ€. Il Chianchiere seguì il Marco Antonio di Napoleone dovunque. Fu con lui in tante battaglie in Europa e nell’ultima, a Tolentino. Qui Murat fu definitivamente sconfitto. Abbandonato da Napoleone che aveva tradito, finì fucilato a Pizzo Calabro. Non so se Avitabile si distinguesse in questo scontro. Se sì, fu sicuramente per l’impegno della sua sciabola che perse il filo per eccesso di esercizio. Qualcuno sa che anche a Tolentino provocò tali orrori che la storia si vergogna di ricordarli. Io li ho solo immaginati. Si sa che ne era uscito vivo ma coperto di ferite e di sangue dalla testa ai piedi.
Ma non si fermò lì. Ancora assetato di emozioni e di efferatezze, con rapido cambio di casacca, a 25 o 26 anni si arruolò nell’esercito del Regno delle Due Sicilie. Era un’armata paesana questa, nella quale le sue vampiresche brame di sangue non potevano essere appagate. Decise perciò di andare a menar le mani altrove. In America, per esempio. Così facevano un po’ tutti i militari italiani quando mancava lavoro a casa (vedi Garibaldi, Bolognesi etc.). L’America era in quel momento storico la terra delle grandi lotte, a Nord con la secessione e a Sud con la creazioni delle nuove nazioni latino-americane che si emancipavano dal colonialismo iberico.
All’uscita dal porto di Marsiglia la nave su cui Avitabile era imbarcato naufragò. E così, addio sogno americano.
L’Ottocento però fu anche un secolo di fuoco di cannoni e di sangue a fiumi. L’età dell’oro dei mercenari e dei capitani di ventura, dei corsari e dei capitani di lungo corso loro progenie… Il Macellaio aveva solo l’imbarazzo circa la destinazione da scegliere.
Si trasferì in Persia e mise la propria sciabola al servizio dello Shah Alì il Conquistatore. Imparò l’arabo e il persiano. Sedusse pudibonde ragazze affascinate dalla sua divisa stracolma di medaglie e ori. Si fece soprattutto apprezzare dal sovrano che amava la gente di fegato. In una serie interminabile di interventi militari per rafforzare il potere reale, si distinse per i soliti “meritiâ€. Tuttavia non era ancora soddisfatto. Decise di far meglio, alla sua maniera. Sappiamo quale.
Siamo intorno alla prima metà dell’800 e in India si andava estendendo l’egemonia britannica mentre declinava l’impero della dinastia Moghul. Questa aveva per tre secoli dominato l’intero subcontinente e comprendeva l’attuale Pakistan, l’Afganistan e, in più, una larga parte dell’impero persiano (leggi Asia Centrale). Dal naufragio dell’impero moghul tutti cercarono di approfittare. Anche una singolare figura di arruffapopolo, analfabeta e sanguinario. Si chiamava Ranjit Singh. Era un sikh del Punjab, nel nord-ovest dell’India. Singh significa Leone ed è il nome-cognome distintivo di tutti i Sikh. Di questo personaggio ho scritto per il Touring Club a proposito del Koh-i-Nur, il diamante maledetto noto come Montagna di luce. Ma ve ne parlerò un’altra volta.
Uccidendo e sterminando ribelli afgani, il Chianchiere contribuì alla creazione dell’unico impero Sikh della storia e a fare del buzzurro Ranjit Singh un maharaja temuto, ancorché sventurato. Crebbe tanto la popolarità del nostro guerrieraccio che il sovrano lo nominò nientemeno che Governatore de Peshawar, una città che era la porta dell’impero. Lì fremevano di irrequietezza i pashtun afgani, insofferenti al potere dei sikh. E lì Avitabile diede il “meglio†di sé con atti di una tale bestialità da far arrossire di vergogna i grandi macellai della storia da Alessandro a Tamerlano. Pensate, era così temuto che il suo nome veniva pronunziava a bassa voce. Storpiandolo lo chiamavano Abu Tabela. Ancora oggi, le mamme di quei luoghi, quando vogliono tener buoni i bambini, fanno come si fa in tutto il mondo (da noi si evocava il “mammoneâ€!), minacciano di chiamare… Abu Tabela. E i bambini zitti, sudando freddo si addormentano nel terrore.
Avitabile era divenuto così potente che lo stesso Ranjit Singh lo temeva un po’ e lo lasciava sfogare. In fondo accresceva il suo potere di sovranello da quattro rupie. Intraprendente come pochi il nostro si distinse a Wazirabad, una borgata ai confini tra l’attuale Pakistan e il Punjab. Ne fece il suo quartiere generale da dove poteva sorvegliare le soglie dell’impero di cartapesta di Ranjit. Wazirabad sotto di lui divenne una città che è oggi tra le più importanti del Pakistan. Molti ritengono giustamente che sia stata fondata proprio da lui.
C’era in atto in quegli anni un conflitto armato fra Regno Unito e Russia. Obiettivo dei britannici era l’occupazione dell’Afganistan per farne un baluardo del loro impero contro l’avanzata russa in Asia. Non riuscendo a prevalere (furono necessarie tre guerre!), gli inglesi si rivolsero al Macellaio che abbandonò Ranjit Singh e si pose al loro servizio. Mise a ferro e fuoco l’Afganistan orientale, distrusse borgate, deportò popolazioni, impalò e massacrò poveri contadini e maciullò le loro bestie. I villaggi divennero vetrine di cadaveri appestanti, appesi, scorticati, sbriciolati. Insomma l’ira di Yahweh Sabaoth dell’Antico Testamento si era scatenata in quella sventurata regione della Terra.
Con la fama di generale sanguinario e feroce salvò il Regno Unito da altre amare sconfitte. Non importa poi se gli inglesi lo ritenessero un sadico selvaggio dal cervello offuscato dall’alcol e dal volto deturpato dal vaiolo.
Finalmente, sazio di gloria, di allori, di medaglie, di ferite e di sangue soprattutto, fece ritorno ad Agerola.
A ricompensa dei servizi ricevuti, il Regno Unito donò al “faithful friend†Avitabile un buon numero di mucche Jersey, una razza di animali dall’ottimo latte che i britannici allevano con amore e di cui sono gelosissimi. Fu perciò un grande dono.
Dall’incrocio di quelle mucche con i bovini campani nacque l’attuale razza agerolese. Il latte di questi animali è quello usato per la produzione dei latticini che conosciamo.
Queste le premesse della loro bontà .
Ricordiamocene quando li gustiamo. Il dolce pannoso della loro morbidezza, in fondo è la formula di assoluzione che Avitabile – Abu Tabela ci ha lasciato per farsi perdonare stermini e atrocità .
Ad Agerola, nel 1850, egli morì vittima di un granello di veleno per topi propinatogli da una troppo giovane e leggiadra moglie. Sicché lui, scampato alla morte in mille battaglie, morì per mano di una ragazza troppo vivace per vivere accanto a un vecchio sciabolatore incallito come lui. Le stava bene solo il suo oro e con quello visse vezzeggiata e paga, forse accanto a un aitante casaro agerolese.