NON HANNO PIU’ VINO (C)

20 gennaio 2019  – NON HANNO PIU’ VINO (C)

a cura del Gruppo biblico ebraico-cristiano

השורשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura:  Gioirà lo sposo per la sposa (Is 62, 1). Seconda lettura:  L’unico e medesimo Spirito distribuisce a ciascuno come vuole  (1 Cor 12, 4). Terza lettura:  Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea (Gv 2, 1)

  1. La domenica “delle nozze a Cana”. Le tre letture bibliche di questa domenica, a prima vista, sembrano slegate tra di loro. Invece un filo rosso le lega profondamente: è l’invito a entrare nel progetto di Dio. Dio vuole unire a sé i suoi figli, e questa verità ci viene comunicata attraverso la bella immagine delle nozze. Si tratta di una rivelazione di Gesù; Cana è il primo segno; qui inizia la manifestazione della gloria di Gesù, anche se la sua gloria totale sarà rivelata solo dalla morte.
  2. Il racconto di Giovanni è davvero gustoso: nell’osservazione relativa alla stravaganza dell’ospite di Cana che serve il vino buono alla fine del banchetto, il racconto acquista anche un tono ironico. Lo leggiamo dunque con piacere, ma attenzione: il racconto di Giovanni è ricco di simbologie; difatti, egli chiama tutti i miracoli di Gesù “segni … semeia”, proprio a motivo di questo metalinguaggio. Il fatto che Maria dica a Gesù che i convitati non hanno più vino, ci rivela una “donna” attenta ai minimi particolari di un banchetto, ma significa pure, sul piano simbolico, che il popolo è privo del vino della felicità e della sapienza, che è in atteggiamento da povero, in attesa del dono di Dio. “Non hanno più vino!”. L’uomo ha bisogno di Dio, i nostri pozzi sono screpolati, la nostra acqua è inquinata, la nostra vita “fa acqua” da tutte le parti. Come un masso precipitato nel burrone, siamo incapaci di ritornare sulla cima. A Cana, come sul Calvario, si attua per Maria un passaggio ad una sfera superiore: a Cana, dal ruolo di madre terrena a collaboratrice nella fede; sul Calvario, da madre di Gesù a madre dei discepoli di Cristo; per il miracolo operato grazie al suo intervento, i discepoli credono in Cristo; per il dono di Gesù morente, il discepolo prende Maria con sé come madre. L’intervento di Maria ci ricorda il suo ruolo nella storia della chiesa e di ogni credente. Ad Iesum per Mariam!
  3. Premesso che il matrimonio presso gli ebrei durava da 5 a 7 giorni, e che gli apostoli non si fecero pregare per mangiare e bere, notiamo subito che Gesù manifesta la sua gloria, inizia la sua missione non attraverso una lezione di catechismo, un congresso eucaristico, una solenne enciclica, ma in un banchetto, in un matrimonio, un fatto della vita, una situazione per nulla sacrale. Un banchetto di nozze, un po’ di allegria, qualche bicchiere in più del previsto: tutto qui. E’ quasi scandaloso che Gesù faccia il suo “primo” miracolo durante un banchetto. Ancora del vino, perché non cessi l’allegria! Questo significa che tutto è sotto lo sguardo di Dio, i nostri poveri giorni, le nostre povere gioie e dolori. Scandalizziamoci pure: anche un bicchiere di buon vino in più serve a ricordarci che Dio ci è vicino. La vera identità di Dio è quella della gioia e della vita, dell’amore e della famiglia. Dio non è il guastafeste della nostra vita! “Tutto è grazia” è la splendida frase che chiude il Diario di un curato di campagna, di Bernanos. Non siamo chiamati a cose eccezionali, ma a vivere con attenzione la vita. Sì, perché quanti furono a quel banchetto a riconoscere fra loro la presenza di Dio?
  4. Il brano evangelico ci parla di questo buon vino, provveduto miracolosamente da Cristo, ad una mensa dove tutti erano già brilli, dove, dunque, non era un elemento necessario ma gratuito. Su questa “gratuità” conviene riflettere. Noi stiamo scontando un errore, quello di avere inserito la nostra fede dentro i meccanismi della necessità razionale, della dimostrazione sillogistica. Abbiamo perciò offerto l’immagine di un Dio necessario come architetto del mondo, come fine ultimo delle cose, come giudice del bene e del male. Questo Dio biblico, pieno di gesti imprevedibili, di iniziative amorose, lo abbiamo irrigidito nel principio metafisico dell’essere supremo e del motore immobile. Abbiamo così creduto di armare la nostra attività religiosa con argomenti invincibili per dimostrare che Dio esiste. E così abbiamo anche inserito la chiesa dentro i meccanismi dell’ordine giuridico e dell’ordine politico, arrivando alla convinzione che senza di noi il mondo non va avanti, che noi abbiamo la risposta per tutti i problemi: siamo tuttologi! Qualunque problema la società si ponga, tocca a noi rispondere: siamo necessari, terribilmente necessari! Se gli altri non ascoltano, è perché sono smarriti nel loro peccato, sono diventati “massa damnationis”. Poi, cosa è avvenuto? Questa presunta necessità non regge alla prova dei fatti: il mondo va avanti senza di noi, procede “etsi Deus non daretur”. E questo ci produce un pauroso senso di frustrazione. Uno che si riteneva necessario e si accorge di essere superfluo, vive nell’angoscia. Ci affanniamo a dimostrare che senza di noi si fanno follie, ma in realtà la gente ci ascolta sempre meno. Che significa questo?
  5. Proviamo a rispondere, alla luce del Vangelo di questa domenica. Al banchetto di nozze, Gesù era un invitato, come gli apostoli, come la madre Maria. Il banchetto si era organizzato senza di loro, né essi se ne rammaricavano. Ma il vino, il vino del miracolo entrò all’improvviso a rallegrare la mensa, a togliere dall’imbarazzo gli sposi. E’ un gesto semplice, non necessario: erano già tutti brilli, dice il Vangelo. Ecco, il regno di Dio è un vino gratuito che entra nella mensa dell’uomo. Come l’amore, che è gratuito! Tutti voi, che avete avuto esperienza dell’amore, sapete come i vincoli dell’amore, che poi sono diventati stabili, sono nati da un caso; e tuttavia le cose gratuite diventano le più necessarie. Così anche la salvezza gratuita di Dio finisce per diventare necessaria: senza questo vino, senza questo amore paziente di Dio, cosa sarebbe la nostra tavola, la nostra vita? Vivremmo da orfani! Uno che è nato orfano, potrebbe andare una vita intera senza sentire la privazione dell’amore. Ma chi ha conosciuto l’amore, non può rassegnarsi alla sua privazione. Avere sperimentato l’amore gratuito di Dio, significa entrare in un ordine che nessun filosofo o teologo dimostrerà necessario o razionale. Io non ho argomenti per dimostrare a chi non crede che Dio ama l’uomo; per chi non crede, mille prove non costituiscono una sola prova; per chi crede, mille dubbi non metteranno mai in dubbio la sua fede.
  6. Gli uomini sono in grado di cercare la giustizia, la pace, la fraternità; i cristiani non devono mortificare o squalificare le possibilità umane, come se la creazione fosse tutta paralizzata senza di loro. Dio illumina ogni uomo che viene in questo mondo; nella storia del passato e del presente, ci sono stati e ci sono uomini straordinari, che non appartengono alla “chiesa”, ma al “regno” di Dio. Noi abbiamo creduto che, per la salvezza, sia necessario che l’uomo ami Dio, mentre è necessario che Dio ami l’uomo, e questo Dio ama l’uomo anche laddove finiscono le nostre verifiche, anche oltre l’ultimo rantolo dell’agonia. C’è un amore che ci circonda. Questo è il grande annuncio, che non annulla la nostra responsabilità. Forse che nell’amore ci sono leggi che obbligano a corrispondere? O è l’amore che da sé le cerca con libera necessità? Forse che in una famiglia permeata di amore c’è il codice penale e civile a portata di mano? Oppure le leggi non vengono nemmeno pensate perché tutte vengono assorbite e superate dall’amore? Dio ci ama! Quando uno sa questo, le leggi non lo interessano più. “Ama et fac quod vis!”. L’amore rende le leggi serene e dolci, tanto che non si avvertono nemmeno; si compiono sacrifici che fanno paura a chi li vede dal di fuori; ma che per chi li vive, rientrano semplicemente nel ritmo della spontaneità. Noi cristiani abbiamo perduto questo sapore del vino; abbiamo devastato la mensa dell’uomo imponendo galatei impossibili, e alla fine ci è mancato il vino! Abbiamo tolto dal cuore dell’uomo la fiducia in se stesso; abbiamo regolato la spontaneità dell’amore con leggi terribili, e alla fine siamo apparsi come gli organizzatori della severità della vita. Ma il nostro compito è di portare non la legge ma la grazia. Un credente si distingue dagli altri perché sperimenta la gratuità dell’amore: è un perdonato da Dio che si impegna a perdonare i fratelli, è un amato da Dio che trova necessario amare i fratelli, è un salvato da Dio che lavora per salvare i fratelli. BUONA VITA!

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *