MAESTRO, TI SEGUIRÃ’ DOVUNQUE TU VADA? (LC 9, 51) COMMENTO DI DON FRANCO GALEONE
Domenica 26 Giugno 2016
26 giugno: XIII Domenica tempo ordinario (C)
Maestro, ti seguirò dovunque tu vada? (Lc 9, 51)
â€Commento di don Franco Galeoneâ€
(francescogaleone@libero.it)
* Con questa pagina di Vangelo ha inizio la parte centrale del Vangelo di Luca; per circa dieci capitoli (dal 19 al 28), Luca descrive il viaggio di Gesù a Gerusalemme dove si compirà il suo destino di morte e risurrezione. Gli altri evangelisti, Marco e Matteo, se la sbrigano in pochi versetti, invece Luca per ben sei volte presenta Gesù in viaggio per Gerusalemme. Si comprende subito che Gerusalemme non è solo la fine di un viaggio ma il coronamento di una storia: viaggio reale e ideale insieme. Luca non parla solo della Gerusalemme spaziale e storica, la città posta a 800 metri, dove si compie il suo destino terreno, ma anche della Gerusalemme celeste ed eterna, dove il Risorto ritorna nella gloria. La storia dunque si conclude a Gerusalemme e riparte da Gerusalemme con la chiesa e gli apostoli.
* Sostanzialmente Luca presenta due scene, con due lezioni:
> la prima è ambientata tra i samaritani, una comunità ostile agli ebrei, discendenti dai coloni qui deportati dall’Assiria al momento del crollo di Samaria nel 721 avanti Cristo, e miscelati razzialmente con gli ultimi ebrei là sopravvissuti; considerati come bastardi, oggi essi vivono nella città di Nablus, formando una specie di enclave razziale e culturale autonoma. Un gruppo di samaritani, ostili agli ebrei, chiude la porta a Cristo; da qui l’ira degli apostoli: Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? E’ il metodo della violenza che avrà tanti seguaci, anche in casa cristiana. A Giovanni e Giacomo che vogliono vendetta, così risponde Gesù: Si voltò e li rimproverò. E’ la prima lezione: la pazienza, il rispetto, la misericordia;
> la seconda scena comprende tre quadretti, tutti legati dal verbo seguire. E’ il tema tanto caro a Luca, quello della sequela di Cristo, che comporta due note irrinunciabili: 1) nessun compromesso o nostalgia ma radicalità ; 2) accettare Cristo non è aderire a una dottrina ma ad una persona. Gesù appare come un Maestro, e i discepoli devono abbandonare tutto, e seguire lui. Si tratta di formare una nuova famiglia. Lascia che i morti seppelliscano i morti … Nessuno che ha messo mano all’aratro … Un invito che sembra una frustata, suona duro, persino disumano. Tutto il nostro essere si rifiuta. Evidentemente Gesù non proibisce di onorare i genitori, ma, in forma paradossale, ricorda che anche la famiglia non deve diventare un ostacolo per Dio. E’ Dio lo scopo della vita, e anche la famiglia è un mezzo per seguire Cristo. Gesù non rinnega il valore della famiglia, ma invita a costruire una famiglia aperta a Dio e non solo ai valori economici. E’ utile ricordare che non avremmo mai avuto un Francesco di Assisi se questi non avesse avuto il coraggio di rompere i legami con la propria famiglia piccolo-borghese, di mettere Dio al primo posto. Davanti ad un Vangelo così esigente, J. H. Newman esclamò: Insegnamenti come questi non possono essere stati inventati dagli uomini. Uno psicanalista moderno ha detto: Mentre leggo il Vangelo, io leggo me stesso; ci ritrovo i miei problemi, e soprattutto le risposte che io cerco. E prima di lui Agostino aveva scritto: Se io conoscessi te, conoscerei anche me.
* I discepoli. In tutte le religioni, i grandi maestri hanno avuto discepoli; questo fenomeno è presente anche nella Bibbia. Gesù si presenta come un maestro, e raduna attorno a sé dei discepoli, che devono non tanto aderire a una dottrina, quanto legarsi alla sua persona e vivere una nuova professione: Vi farò pescatori di uomini! Ma la sorte, non sapendo come far pagare ai grandi la loro grandezza, li castiga mandando loro i discepoli. Il discepolo capisce di meno, tradisce o rimpicciolisce l’insegnamento del maestro, anche senza volerlo. Il maestro ha altri discepoli, e allora è geloso, vorrebbe essere il primo tra i secondi, e ognuno crede di essere lui il migliore interprete del maestro. Per darsi un tono, deforma il pensiero del maestro; in ogni discepolo c’è il seme di Giuda, che ruba al venditore e truffa il compratore: complica le cose semplici, deforma i principi, allunga il vino buono e lo fa credere quintessenza. Eppure di questi discepoli nessuno ha potuto far meno, perché il maestro, estraneo nella solitudine, ha bisogno di qualcuno che riceva le sue parole e le trasmetta; i discepoli sono ripugnanti e pericolosi ma necessari. Il maestro soffre se non trova discepoli, soffre di più quando li ha trovati. Cristo soffrì più e prima dagli amici che dai nemici; i sacerdoti lo uccisero una volta nel corpo; i discepoli molte volte nell’anima. Giuda lo vendette una volta per appena 30 monete; i discepoli lo abbandonarono per molto meno; il suo amico fidato, Pietro, lo rinnegò più di una volta in presenza di una servetta. La sua passione fu perfetta. Ma Cristo sapeva che, pur essendo selvaggi e ignoranti, essi erano generosi ed entusiasti; alla fine li avrebbe modellati come limo nella palude, che è fango, ma, plasmato e cotto, diventa bellezza eterna. Agli apostoli molto va perdonato: nonostante tutto, ebbero fede in Cristo, lo amarono, ci hanno narrato la sua vita, ci hanno consegnato le sue parole. Fermiamoci a sottolineare qualche espressione:
> Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samaritani segue la logica comune: farla pagare, occhio per occhio. Gesù si voltò, li rimproverò e si avviò verso un altro villaggio. Nella concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Che difende chi non la pensa come lui, che capovolge la logica della storia, quella che dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece intende eliminare il concetto stesso di nemico.
> E si avviò verso un altro villaggio. Il Signore è inventore di strade: c’è sempre un nuovo villaggio con altri malati da guarire, altri cuori da fasciare; c’è sempre un’altra casa dove annunciare pace. E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita tutti noi a esodi, a percorsi, a continui passaggi.
> Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo. Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche, felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dal potere religioso-politico, sottoposta a rischio, senza sicurezza. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido non potrà essere suo discepolo. Noi siamo abituati a sentire la fede come conforto e sostegno. Ma questo Vangelo ci mostra che la fede è anche altro: è il progetto che non assicura una esistenza tranquilla, è il rischio di essere rifiutati e perfino perseguitati. > Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Una frase durissima che non contesta gli affetti umani, ma si chiarisce con ciò che segue: Tu va’ e annunzia il Regno di Dio. Tu fa’ cose nuove. Se ti fermi all’esistente, al già visto, al già pensato … non vivi in pienezza. Noi abbiamo bisogno di freschezza e il Signore ha bisogno di gente viva. Di gente che, come chi ha posto mano all’aratro, non guardi indietro a sbagli, incoerenze, fallimenti, ma avanti, ai grandi campi della vita, che gli appartengono, a un Dio che viene dall’avvenire.
Haggadà h:
In quel tempo Gesù raccontò questa parabola:
C’era un uomo giusto che ogni giorno si chiedeva: «Perché c’è il male e la sofferenza in un mondo creato da un Dio giusto e onnipotente? Perché la sofferenza degli innocenti?». Poi una notte sognò di camminare sulla spiaggia a fianco del Signore. I suoi passi si imprimevano nella sabbia, lasciando una doppia serie di impronte: le sue e quelle del Signore. Ciascuno di quei passi rappresentava un giorno della sua vita. E notò che a tratti, invece delle due serie di impronte, ce n’era soltanto una sola. Ma, sorpresa!, i passaggi con una sola serie di impronte corrispondevano ai giorni più tristi della sua esistenza. Allora si rivolse al Signore con tono di rimprovero: «Tu mi hai promesso di restare con me tutti i giorni! Perché mi hai lasciato solo nei momenti peggiori della mia vita?». Il Signore gli sorrise: «Figlio mio, piccolo mio, non ho cessato di amarti un solo momento! Le sole orme che vedi nei giorni più duri della tua vita sono le mie… In quei giorni ti portavo in braccio».