ll mare verde e le rocce color del fuoco di Marettimo (una delle Egadi)…
di Vittorio Russo
Il mare di Marettimo lo solchi con lo sguardo e ne resti stregato. Questa è l’isola più distante dalla costa occidentale della Sicilia. Nessun mare fu più faticoso da veleggiare, dai tempi di Ulisse ai giorni nostri. E’ un mare indomato, con onde striate da venti che schiaffeggiano le prue più ardite e atterriscono i naviganti più audaci. Non è per caso che i suoi abissi conservano orme di immemorabili naufragi punici, romani, saraceni e delle povere innumerevoli vittime del terzo mondo dei tempi nostri.
Ci siamo fermati per un tempo lungo davanti alle pareti di roccia delle sue coste irte. Sono come porte di acciaio. E noi muti a sentirne i racconti di cui sono state testimoni per millenni. Un racconto che s’è fatto indiscutibile storia. Perché come tale indugia nella memoria l’immagine scagliosa di Marettimo.
Che bel racconto ne narra il mito.
Marettimo si chiamava Neerea al tempo delle leggende. Era una delle tre figlie del titano Elios, simbolo del disco solare. Le altre due erano Egussa (Favignana) e Farbantia (Levanzo).
È aspra Marettimo, incontaminata (ancora) e fulgida di una bellezza acerba nella quale le tinte sono getti di violenta luce, senza soluzione di continuità , in un giostra di tinte nella quale l’occhio annega. Nessuna macchia di colore è più densa e dentellata nell’unicum orografico dell’isola. Nessun verde esiste in natura, supremo per intensità , come quello delle sue acque nell’orizzonte infinito delle sue gradazioni.
Auscultare (sì, proprio auscultare) il respiro che si leva dagli abissi per farsi boato di marosi ferma il cuore in gola per l’emozione. Le onde seghettate dal vento si frantumano in sciami di minuscole perle d’acque per inventare un ventaglio di sfumature indescrivibili. Quale fenomeno della natura è più prodigioso di questo!
Marettimo per i Greci era Hiera, ossia la Sacra e tale era state anche per i Fenici prima e per i coevi Elimi. Hiera fu anche per i Romani, che con i Cartaginesi qui siglarono una pace fragilissima. Era quella della fine della Prima guerra punica dopo la disfatta delle Egadi delle Idi di Marzo del 241 a.C. di cui ho parlato altrove. Avrebbe dovuto essere una pace sacra, ma tale non fu a lungo perché la guerra con i Cartaginesi si concluse definitivamente solo nel 146 a.C., quasi un secolo dopo e consacrò Roma signora della civiltà occidentale.
Hiera in realtà era sacra anche prima della pace cartago-romana. Era sacra perché qui approdavano naufraghi scampati alle tempeste che furiose sconvolgono le acque di questi luoghi, nodo misterioso di venti e di correnti. Sacra perché, come ricorda Diodoro Siculo, gli scampati all’ira di Poseidone vi onoravano Hera Madre con sacrifici cruenti e offerte votive.
Fu solo molti secoli dopo, forse intorno al III secolo d.C., che l’isola prese a essere identificata con Marìtima, per via del mare che ne accarezza le sponde e il timo selvatico che cresce fra le sue rocce e i suoi dirupi. Per i saraceni posteriori divenne Malitimah e più o meno con questo nome giunge a noi: Marettimo, la selvaggia dall’aspra orografia e dagli anfratti scuri come fauci di drago.
Pensate quello che volete, per me tuttavia (e lasciatemi il privilegio di crederlo), per me l’isola resta Hiera, la Sacra nell’accezione che ho tentato di spiegare di recente, sacra perché inaccessibile, distante, misteriosa e proibita nella misura in cui è riservata esclusivamente agli dèi immortali. Si sa, essi sono gelosi e non disposti a condividere con i mortali la bellezza delle loro crezioni più preziose. E Marettimo-Hiera è preziosa perché è stata modellata nella materia dell’eternità con le dita scultrici degli Immortali!