La Concordia ora è un business: tutti la vogliono.
Lite fra i porti di Piombino, Civitavecchia, Palermo, Napoli e Porto Torres per lo smantellamento
La Concordia è in posizione verticale
Costa Concordia, prima e dopo. Foto
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Completata l’operazione di rotazione, il progetto per la rimozione del relitto della Costa Cocordia dall’isola del Giglio è destinato a proseguire per i prossimi mesi. Come ha indicato il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, le priorità sono ora ricercare i corpi delle due vittime ancora disperse e stabilizzare la nave in vista dell’inverno. Poi andranno applicati i cassoni sulla fiancata appena riemersa per riportare la Concordia sulla linea di galleggiamento: “Abbiamo la collocazione dei cassoni nella fiancata di dritta e il rigallegiamento – ha sottolineato Gabrielli – che non saranno una passeggiata”. A quel punto la nave sarà pronta per essere trasportata nel luogo in cui sarà smantellata.
E qui le certezze finiscono. Perché proprio su quest’ultimo punto gli scenari sono tutt’altro che chiari. E l’Italia, dopo avere mostrato nell’operazione di recupero l’eccellenza di chi lavora, torna a mostrare la pochezza e gli interessi di bottega dei propri politici, che in queste ore fanno a gara per “sponsorizzare” questo o quel porto. Perché, inutile negarlo, lo smantellamento di un colosso del mare come la Concordia è un business da centinaia di milioni, capace di garantire lauti guadagni e centinaia di posti di lavoro.
In lizza al momento ci sono Piombino (la soluzione più logica per la vicinanza al Giglio e la presenza di uno stabilimento siderurgico, cosa che accorcerebbe la filiera della demolizione), il cui porto però necessità di lavori di adeguamento per accogliere una nave di questa stazza. Poi ci sono Civitavecchia e Palermo, sedi di stabilimenti Fincantieri (il gruppo che ha costruito la Concordia e i cassoni necessari per rimetterla a galla) specializzati nella costruzione di navi di grandi dimensioni. Ma sono emerse anche le candidature di Napoli e Porto Torres. E resta aperta la possibilità che il relitto finisca all’estero, magari in Bangladesh (patria degli smantellamenti navali “low cost”), o più probabilmente in Turchia. Il rischio, insomma, è che la politica finisca per far naufragare la Concordia una seconda volta.
(Affaritaliani.it)