Gesù, il messia sofferente, è uno scandalo!
Domenica XXIV del T.O. (B) – 12 settembre 2021
Gesù, il messia sofferente, è uno scandalo!
Prima lettura: Ho presentato il mio corpo ai flagellatori (Is 50,5). Seconda lettura: La fede, senza le opere, è morta! (Gc 2,14). Terza lettura: Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire (Mc 8,27).
Per voi, chi sono io?
1) Gesù solo una volta esplicitamente fa riferimento al “servo sofferente†(Lc 22,27), ma i riferimenti impliciti nei vangeli sono numerosi; ora, questa concezione del messia come servo sofferente (I lettura) è quanto di più scandaloso si poteva immaginare per un ebreo: la reazione di Pietro è indicativa (vangelo). Vi è un modo di ragionare secondo Dio e uno secondo gli uomini; il criterio che li distingue è la croce; la croce anche oggi continua ad essere per molti “follia†e “scandaloâ€. Gesù non vuole illudere nessuno; i discepoli guardano a lui come a un trionfatore, a un signore, non come a un servo, per giunta sofferente; nella loro concezione trionfalistica non c’è spazio per la sofferenza. Ma giunge il momento in cui essi devono sapere chi è quel Gesù di Nazaret che essi vogliono seguire; perciò Gesù comincia a insegnare loro “apertamenteâ€.
La chiesa tra ‘gerarchia’ e ‘profezia’
2) Questo celebre testo si chiama la “confessione di Cesareaâ€; quello che subito colpisce è il contrasto immediato tra il “Beato te, Pietro … su di te costruirò la mia chiesa … a te darò le chiavi del mio regno†(Mt 16,17) e le altre parole di Gesù: “Va’ via, lontano da me, Satana, perché tu ragioni come gli uomini!†(Mc 8, 33). Cerchiamo di capire. Il vero capo della chiesa non è il papa né il collegio dei vescovi né la curia romana, ma è lo Spirito Santo! E lo Spirito è sovranamente libero, è creazione, è apertura; sfugge a tutti coloro che vogliono imprigionarlo in un uomo, in una formula, in un tempio, in un codice, in un oggetto. Soffia assolutamente dove, quando, come vuole; ha scelto come dimora la chiesa, ma ha pure dappertutto innumerevoli “residenzeâ€. Il dramma della chiesa è la tensione tra l’istituzione che tende a irrigidirsi e ad autogiustificarsi, e l’ispirazione che tende a scavalcare ogni autorità e controllo. Ma non vi è contraddizione fra il carisma dell’autorità e quello dell’istituzione; la lotta non è tra i carismi ma tra le persone. Certo, vi sono molte istituzioni senza ispirazione, e sono sepolcri imbiancati; ma non può esistere ispirazione autentica che non diventi anche istituzione: l’amore crea la famiglia, il genio crea l’opera d’arte, la fede crea la chiesa. Quello che occorre è che l’istituzione dialoghi sempre con l’ispirazione: il capo non è colui che detiene il potere, ma colui che è docile allo Spirito, che accoglie ogni buona ispirazione, che riconosce con sincerità di non sapere niente: “Non la carne e il sangue te l’ha rivelato, ma il Padre mio†(Mt 16,18). L’autorità va esercitata come un dono e non come un diritto.
3) L’autorità perde valore quando si limita solo a regolare, legiferare, strutturare; allora la chiesa rischia di essere governata come una qualsiasi società , una società di “opere pieâ€, che però non conosce la libertà dello Spirito. Qualcuno obietterà che questo spazio ai carismi è una minaccia all’ordine e all’unità della chiesa; ma giustamente osserva H. Küng: “Le comunità cristiane “di base†sono vissute e vivono senza ministri ordinati; al contrario, numerose parrocchie languono sotto il peso dell’abitudine, dell’autoritarismo, della chiusura dei loro pastori!â€. Noi pensiamo che il carisma segue fedelmente la designazione da parte dell’autorità , e lo fissa per sempre: fatti gli studi e ordinato presbitero, non c’è più nulla da imparare; come chi ha compiuto gli studi universitari e ha vinto il concorso a cattedra: non resta che ripetere ad allievi sempre nuovi per il resto della vita le vecchie nozioni. Nella chiesa primitiva le cose andavano diversamente: la giovane chiesa aveva coscienza di essere governata dallo Spirito; se c’era bisogno di un uomo per una missione speciale, si sceglieva qualcuno “pieno di fede e di Spirito†(At 6,5). L’ordinazione non comunica automaticamente i doni necessari all’ordinato.
Le allettanti promesse del potere, del successo, del denaro!
4) La nostra religione, nata come piccola e lieta minoranza, ha allargato lentamente i propri spazi grazie all’imperatore Costantino prima, Teodosio poi, e Giustiniano infine; non appena si sono aperte le porte del privilegio, anche noi cristiani siamo entrati nella sala dei comandi, abbiamo conquistato quel potere che Gesù aveva rifiutato, e che anche noi, prima della conquista, avevamo contestato come roccaforte del maligno, cittadella del male. Le astuzie della ragione umana sono davvero ineffabili! Quante volte si è ripetuto nella storia sacra il passaggio dal “Non pòssumus†al “Pòssumus†davanti alle allettanti promesse del potere! Dobbiamo chiederci: perché su questa pagina del vangelo si sono versati fiumi di inchiostro per dimostrare che Gesù ha dato il primato a Pietro? Perché tanta lussureggiante teologia su questo primato e nessun commento su quelle parole che vengono dopo: “Va’ lontano da me, satana!â€, che pure sono parole di Gesù? Il perché è che questo “primato†è stato letto secondo le categorie della cultura egemone, cioè secondo la logica del potere, fino a definire il papa “re dei re e signore dei signoriâ€. Si è sempre cercato di fare tacere quegli incauti che osavano ricordare che la passione di Gesù, dei poveri, degli esclusi … durerà sino alla fine del tempo. Chiunque ricorda che l’amore di Dio passa attraverso questi esclusi, turba il sistema religioso, va censurato. È pericoloso ricordare che ogni autorità deve imitare quella di Cristo, che il primato del papa è un primato di funzione e di servizio, che nel cristianesimo non ci sono onori ma responsabilità , non presidenze ma “grembiuliâ€, non posti da coprire ma fratelli da servire, non professionisti di carriera ma dilettanti di amore. Diceva Ignazio di Antiochia che, se primati ci devono essere, uno solo è accettabile: il primato e la presidenza dell’amore!
L’amore: una forza inutile e perciò efficace!
5) Con questa pagina, siamo a metà del vangelo di Marco; si tratta di una metà non solo spaziale, perché l’ottavo capitolo è metà rispetto al sedicesimo, o perché siamo nel mezzo delle 11.229 parole che compongono l’intero vangelo di Marco. Si tratta anche di una metà ideale, di uno spartiacque teologico: nei capitoli 1-6, prima letti, Gesù ha fatto intravedere solo qualcosa del suo segreto (il segreto messianico); ha compiuto miracoli ma ha ordinato di non dire nulla a nessuno. Egli ha evitato le folle, era riconosciuto come Gesù di Nazaret o come Figlio dell’uomo. Ora, nei capitoli 8-16 Gesù lentamente squarcia il velo del mistero, e una prima rivelazione è la confessione di Pietro: “Tu sei il Cristoâ€, cioè il Messia, il Consacrato. Gesù ordina di non dirlo a nessuno, perché nella seconda parte del vangelo, nei capitoli 8-16, spiegherà in che senso egli è il Messia: non in senso trionfale, militare, politico … ma in senso umile e doloroso. Gesù non avrebbe liberato gli ebrei dalla schiavitù romana con la forza delle armi, ma tutti gli uomini con la forza dell’amore.
Chi sono io secondo la gente … e secondo voi?
6) Lungo la strada per Gerusalemme, Gesù fa un sondaggio di opinione. La domanda è duplice: “Chi dice la gente che io sia?â€; la risposta è desolante. “Ed essi gli risposero: Giovanni il Battista, altri dicono Elia, oppure uno dei profetiâ€. Tutti personaggi che appartengono all’antichità , al passato. Non comprendono la novità di Gesù. Oggi noi forse risponderemmo che Gesù è un grande maestro, uno che fa miracoli, uno che ha fondato la chiesa … Ma poi Gesù separa i discepoli dalla gente, i cristiani dagli altri: “E voi chi dite che io sia?â€. Dopo tanti anni di vita cristiana, dopo tanti sacramenti e tante prediche, Gesù ci inchioda con una domanda alla quale non possiamo rispondere con frasi prese a prestito dai letterati o dal catechismo o dai teologi. Dobbiamo inventare la nostra risposta, facendo ricorso alla nostra personale esperienza.
7) Gesù domanda agli apostoli: “Ma voi, chi dite che io sia?â€. E Pietro risponde: “Tu sei il Messiaâ€. Pietro si chiama anche Simone, ma quando viene chiamato Pietro, questo significa che è in contrasto con Gesù; il contrasto è profondo, perciò viene chiamato con il soprannome negativo di Pietro per ben 3 volte (il numero 3 significa “ciò che è completoâ€). Pietro ha risposto bene, Gesù è il Messia, ma sbaglia quando lo intende come Messia politico! Perciò Gesù lo “sgridò†(á¼Ï€ÎµÏ„ίμησεν/epetìmesen); Gesù utilizza questo verbo quando comanda al vento e alle onde nel mare (Mc 4,39 par), e quando comanda agli spiriti immondi (Mc 9, 25 par; Mt 17,18; Lc 9,42). Da tutto questo racconto si comprende che né a Pietro e né agli altri apostoli entrava nella testa che Gesù potesse salvare il mondo proprio come Messia sofferente. Quella domanda di Gesù arriva oggi anche a noi. A lui non interessa sapere come la pensano gli altri, ma sapere che siamo disposti ad arrivare sino al Calvario, dove tutto sembra fallire e dove tutto risorge. Insomma, con Gesù non si possono fare mai quattro chiacchiere sterili, così, parler pour parler. Una risposta, e così la vita diventa una cosa seria! Buona vita!
In quel tempo Gesù raccontò questa parabola: Dopo la morte, un uomo si presentò davanti al Signore. Con molta fierezza gli mostrò le mani: «Signore, guarda come sono pulite le mie mani!». Il Signore gli sorrise, ma con un velo di tristezza, e disse: «È vero, ma sono anche vuote». Un altro morì e arrivò alle porte del cielo. L’angelo addetto all’accoglienza gli chiese: «Mostrami le tue ferite!». Sorpreso, l’uomo replicò: «Ferite? Non ne ho!». E l’angelo gli disse: «Non hai mai pensato che ci fosse qualcosa per cui valesse la pena di combattere?» (dai racconti di Bruno Ferrero).
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