FRAMMENTI DI VIAGGI MAI FINITI…
di Vittorio Russo
Ci arrivi come attraverso il vapore di un sogno. E invece hai viaggiato sul serio, su un aereo che atterra sussultando sulle piccole ruote che sembrano scivolare su una pista d’acqua. Perché solo acqua vedi dall’oblò intorno all’aereo che sobbalza. Poi lo sguardo si sperde nel nero della sabbia rovente lungo le brevi spiagge. La vista si lascia prendere dal rosso dalle rocce che sono lastre di pietra stratificate coperte del verde muschioso di una vegetazione di olivastri. Si legge nelle linee laviche e nelle fratture rocciose di ciò che il tempo ha lasciato intatto la vertigine degli abissi e la voce della terra che fuma ancora.
L’azzurro mediterraneo dominatore è l’occhio stesso di Atena “glaucopideâ€, come la chiamava Omero. È un colore che vive e ammanta gli indecifrabili sconvolgimenti di 20 mila anni fa, quando Thira esplose e, si dice, che con essa scomparve la mitica Atlantide. Di questo caos ancora risuona la voce di Platone nei dialoghi del Timeo e del Crizia. Nelle rocce che fanno da corona a quello che era in età protostorica il cratere di un vulcano mostruoso, si legge il fuoco indomabile che urge fra le sconnessure e nel rosso bruno del sangue della Terra.
In quella devastazione tellurica c’è forse il seme della distruzione della civiltà minoica.
Che sconvolgente contrasto esplode davanti agli occhi! Il giallo sulfureo delle sabbie effusive, il bruno delle rocce magmatiche e il nero di una berretta, il “kamilavkionâ€, sulla testa di un pope! Non manca mai un pope nelle fotografie dei ricordi. Che magia poi, il bianco delle costruzioni sulla cresta tagliente delle isole che incoronano Santorini! Un biancore solenne, mai adulterato da altri colori. Bello e accecante, dà corpo alle cubiche casette incastrate come dadi fra le rocce scure di magma. Che prodigio quel candore sacro e audace di chiese con le calottine azzurre delle cupole e le croci dominatrici dall’alto! Un bianco liturgico sull’azzurro profondo di acque senza onde al centro dell’anfiteatro dell’antico cratere eruttatore. Di esso, se si sa ascoltare, si può udire ancora, nell’aria e sotto i piedi, il crepitio di un tuono che cresce.
Akrotiri, sulla curva meridionale dell’Isola, racconta se stessa agli occhi e alla fantasia attraverso immagini indelebili. Ne basta una per diventare memoria definitiva di tutto.
Non bisogna poi trascurare le impressioni olfattive. Quelle della quotidianità delle più lontane tradizioni culinarie greche, turche, veneziane. C’è nell’aria l’essenza dolce del vinsanto e il gusto amaro dei lupini, sempre mal conditi. C’è l’odore caldo dei pomodori il cui rosso ha rubato un calore diverso al sole per farlo sapore sulle labbra.
Bastano poche sguardi soltanto per fissare un profilo definitivo della storia e della vita di Santorini. Cos’altro potrebbe renderla più cara agli umani? Io vi ho sentito pure il respiro affannoso di muli macilenti dal basto di legno. Mi suona doloroso all’orecchio il ricordo del loro ansare ritmico. Quasi un orologio vivo a segnare le ore di un tempo che nessuno altro strumento può misurare. Umili bestie, i muli di Santorini, adusi alle violenze di turisti cavalcatori improvvisati. Eppure, danno un senso di vita all’odore del cuoio e al sudore sulle loro schiene dure di cicatrici.
Offenderò pure il punto di vista di chi ha osservato con occhi diversi questa terra, ma bagnarsi nelle sue acque che cantano senza tregua da Omero a Foscolo, mi sembra quasi una profanazione del mistero di tutti i miti del mare di Egeo.
Anche il sole al tramonto sembra inchinarsi davanti all’intimità del Témenos di Artemidoro e piegare la fronte alla bellezza di un’arte vascolare lontana.
Abbassare lo sguardo in un omaggio ideale ai frammenti di tanti affreschi minoici è tutto quello che d’istinto si può fare. Un omaggio a quello del Pescatore, primo fra gli altri, che è il più incantevole di tutti. La figura ancora vagamente colorata riepiloga in poche linee la fatica che si racconta nel gesto del lavoro. Forse è il riassunto stesso della quotidianità di ogni età nelle sue tinte che il tempo può solo arricchire di sfumature dolci allo sguardo.