BUON MESE DI GIUGNO 2016

a cura di Don Franco Galeone

L’8 Dicembre dello scorso anno con il suono del corno di un ariete (in ebraico: I obel da cui la parola Giubileo) e con l’apertura della Porta Santa della Basilica di S. Pietro, Papa Francesco ha dato inizio all’Anno Santo della Misericordia, che avrà termine il prossimo 20 Novembre, festa di Cristo Re dell’Universo. Non un anno giubilare ordinario, legato a scadenze prestabilite (25 anni), come è stato quello del 2.000 e come sarà quello del 2025; ma straordinario perché saranno celebrati i primi 50 anni dalla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano 2°. Giubileo straordinario anche perché l’apertura della Porta Santa ha avuto un antefatto. Questa, infatti, per la prima volta non è avvenuta a Roma, in una Basilica romana, a S. Pietro, ma in Africa, nella Repubblica Centroafricana, nella capitale Bangui, il 29 Novembre 2015. Nel paese di J. B. Bokassa, il caporale proclamatosi imperatore, dai gusti alimentari esotici, cannibaleschi e dagli atteggiamenti clauneschi, ma convinto di poter emulare le imprese di Napoleone; destituito nel 1979, ha goduto un esilio dorato in un castello nei pressi di Parigi per aver ben meritato dalla Francia … Il Papa è giunto in Africa percorrendo un itinerario opposto a quello che gli emigrati compiono giungendo a Lampedusa attraversando il Mediterraneo. Ha raggiunto il Continente Nero dal quale, oggi, più nessuno si allontana portandosi dentro il mal d’Africa, tanto celebrato dalla letteratura dell’800, ed è andato in una terra non bagnata dall’acqua ma irrorata dal sangue e dove la t e r z a g u e r r a mondiale a pezzi non è un’espressione culturale ma una tragica realtà di ogni giorno, di tutto un popolo. In tanti hanno cercato di dissuadèrlo dal recarsi nella bolgia centrafricana, in piena guerra civile di tutti contro tutti; ma nessuno ha potuto fermarlo: Io voglio andare in Africa; se non ci riuscite datemi un paracadute. Non temo le pallottole, ma le zanzare, ha risposto ai giornalisti che l’accompagnavano. Con questa determinazione è giunto nell’epicentro della violenza e del terrore mondiale e a differenza degli addetti al servizio d’ordine muniti di giubbotti antiproiettile, Egli è passato per le strade e i quartieri off limits con la papamobile scoperta, dalla quale ha fatto il più bel discorso del suo pellegrinaggio. Non quello preparato dalla cancelleria vaticana, ma quello della sua presenza, del suo coraggio, della sua testimonianza di vicinanza e di amore. La sua è stata la vittoria della fede sulla paura, della compassione e della solidarietà sulla indifferenza in un Paese distrutto, dagli innumerevoli drammi umani, tra un popolo attanagliato dall’odio e dalla vendetta; abbracciando tutti, cristiani e musulmani, visitando chiese e moschee, accogliendo sia i bianchi che i neri, Dante nel XVIII canto dell’Inferno, parla dei pellegrini recatisi a Roma per il 1° Giubileo della storia, quello indetto dal suo più grande nemico politico: papa Bonifacio VIII, e ricorda con meraviglia la grande folla che attraversava il ponte di Castel Sant’Angelo diviso da una transenna, sul quale da un lato passavano i fedeli diretti a S. Pietro; dall’altro defluivano quelli che lasciavano la Basilica. Se fosse stato a Bangui, Dante sarebbe stato colpito dallo spettacolo incredibile di gente di ogni etnia, fede, tribù, paese, fino a pochi giorni prima in lotta feroce tra loro, che guardavano, seguivano e rincorrevano una bianca figura sorridente che con la sua presenza aveva esorcizzato la paura, l’odio, la vendetta. Forse, anche Machiavelli, che bollava i profeti disarmati, che ritengono di risolvere le controversie tra gli Stati con la politica e la diplomazia senza l’uso delle armi, si sarebbe ricreduto vedendo le armi della fede, dell’amore e della misericordia con le quali papa Francesco invita a combattere e combatte la terza guerra mondiale a pezzi, non fomentando altro odio e non causando altre morti. Il Giubileo ha reso evidente il progetto del pontificato di papa Francesco, che è venuto delineandosi fin dalla sua elezione, con le scelte che hanno destato tanto scalpore: S. Marta invece dei Palazzi apostolici, l’utilitaria invece dell’ammiraglia, i migranti e i senza fissa dimora più che i capi di Stato, gli slums, le favelas, le banlieue al posto dei quartieri residenziali; Lampedusa, Ciudad Juarez, Lesbo: le frontiere dove s’infrangono le maree dei poveri, dei profughi, degli esuli in cerca di una vita migliore, invece delle capitali del mondo. E il linguaggio? Quello dell’accoglienza, della condivisione, della solidarietà, della tenerezza, della compassione, del perdono, della misericordia. In questo modo papa Francesco affronta la catastrofe mondiale, la crisi umanitaria più devastante dalla fine della 2^ Guerra Mondiale sfidando la paura e il sonno dell’indifferenza con gesti concreti come quello dei 12 rifugiati siriani accolti nel suo aereo nel viaggio di ritorno da Lesbo. Un messaggio forte rivolto all’Europa, patria dei diritti umani perché sia all’altezza della sua storia, mentre è diventata una società spaventata e disorientata, avvolta in un malessere diffuso, che tradisce se stessa e i valori che l’hanno fondata. Non c’è società pienamente umana senza capacità di accoglienza, senza riconoscimento della dignità di ogni singola persona. Senza reciproca fiducia. Papa Francesco sta scuotendo la coscienza della società europea ponendola, oggi, davanti al dramma dei rifugiati, perché non si ripeta quanto è avvenuto nel secolo scorso quando, di fronte alla tragedia degli ebrei che rischiavano lo sterminio nei lager nazisti, tanti Stati hanno fatto finta di non vedere, e questo ha permesso che solo ad Auschwitz siano stati eliminati 6 milioni di ebrei. Inoltre, l’incontro a Lesbo, (l’isola di Saffo e di Alceo), di papa Francesco, del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e dell’arcivescovo ortodosso di Atene Hyeronimos, ha reso possibile l’ ecumenismo dei rifugiati, la convergenza, cioè, della Chiesa cattolica e di quella ortodossa nell’accoglienza degli emigrati, convergenza che non è stata ancora possibile trovare sul campo dottrinale. Però, un altro passo avanti rilevante verso la piena comunione tra le due Chiese, è stato fatto. Sul finire del XIX secolo, mentre l’Europa folleggiava nel clima irreale e ottimistico della Belle Epoque, che nel favoloso transatlantico Titanic ebbe il suo simbolo e nel suo affondamento la previsione della sua fine, un romanziere russo, F. Dostoevskij e un filosofo tedesco, F. Nietzsche, avvertirono quali sarebbero state le conseguenze dello smarrimento culturale e della negazione religiosa che stavano verificandosi in Europa. E ne “I fratelli Karamazoff” Dostoevskij fa dire a Ivan: Se Dio non esiste tutto è possibile. E Nietzsche, nella Gaia scienza, va oltre la negazione di Dio annunciando la sua morte: Gott ist tot: Dio è morto e con Dio sono morti tutti i valori soprasensibili. Goethe, con un’intuizione che è propria di un grande artista e di un grande poeta, afferma che: L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il Cristianesimo. Solo, cioè, in quanto non perderà l’identità cristiana potrà continuare ad essere quel grande faro di cultura, di civiltà, di umanità che è stata nel passato e potrà sopravvivere nel futuro senza dissolversi. Con il tempo, però, l’Europa ha smarrito non solo le sue radici giudaico-cristiane ma anche quelle religiose, tanto che nel Preambolo della Costituzione europea non è stato possibile inserire neppure un riferimento a un dato storico inconfutabile: la sua anima giudaico-cristiana. Oggi, tutti gli eventi negativi annunciati sono sotto gli occhi di tutti e incutono timore, orrore e sconforto. La strada che stiamo percorrendo, però, non è senza ritorno. L’orizzonte può essere ridisegnato. La notte per quanto buia non è senza stelle e senza aurora. Il tunnel è lungo e tenebroso, ma in fondo è possibile scorgere una luce. Da quando Dio in Gesù Cristo, 2.000 anni or sono, è entrato nella nostra storia ed è diventato nostro fratello e con la Risurrezione ha vinto la morte, non c’è tomba, per quanto ben custodita, che non possa essere scoperchiata, non c’è situazione tragica che non possa essere risolta, non c’è abisso sul quale non possa trionfare la vita … A tutti un lieto e salutare periodo estivo. Buona vita! Napoli, giugno 2016.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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