A.I.F.V.S – il fondatore

A.I.F.V.S – il fondatore

ha un nome : FRANCESCO SALADINI.

Francesco Saladini: Elena 1996-2004…..

Cerco ancora e a novembre Angela Colannino, amica della CGIL di Ascoli, mi segnala a Donata Monti, funzionaria dell’Adiconsum, il ramo consumatori della CISL, che incontro andando a Roma il 17 dicembre ‘97. 

Qui l’aria è tutta un’altra, la dottoressa Monti è subito convinta, m’assicura un posto di lavoro con macchina da scrivere e telefono dedicato per un giorno alla settimana, e pubblica come comunicato stampa dell’Adiconsum il programma già inutilmente proposto al Codacons.

A partire dal 26 gennaio 1998 e per quasi due anni raggiungo dunque Roma tutti i lunedì, coprendo in auto i quattrocento chilometri tra andata e ritorno, per sedermi dalle 10 alle 17 a quel tavolo e aspettare le telefonate di altri colpiti dalla strage che nell’anno appena trascorso ha prodotto ottomila morti e centomila feriti.

L’appello invita i parenti delle vittime a rivolgersi al ‘Comitato familiari vittime della strada’ per “fermare la strage stradale e dare giustizia ai superstiti”.

E’ il primo e il più fortunato degli slogan con i quali cercherò d’identificare la mia iniziativa, ma non è per lo slogan che la cosa questa volta funziona.

Donata Monti mi procura infatti un’intervista sulla morte di Elena nella puntata di ‘Uno mattina’ del 4 febbraio ‘98, la RAI manda in sovraimpressione il mio numero di telefono all’Adiconsum e già il lunedì successivo arriva la prima chiamata, d’una madre che non sentirò più.

Un secondo passaggio in TV il 12 dello stesso mese su un talk-show molto seguito cui mi presento, perché l’occasione

è imperdibile, malgrado una doppia frattura costale, mi permette di diffondere ancora quel numero.

Conosco così Marcel Haegi, fisico belga che sulla strada ha come me perso una figlia e che presiede la Fédération Européenne des Victimes de la Route, cui il Comitato dell’Adiconsum, cioè io, aderisce come organismo italiano, e il professore romano Antonio Lerario, padre d’uno scomparso campione di nuoto e già attivo nel suo ricordo, che è poco dopo il primo aderente al mio Comitato.

Ora m’è chiaro che in Italia esistono già numerose strutture di parenti di vittime, spesso composte solo da parenti e amici stretti, operanti in ambito locale e conseguentemente incapaci d’incidere a livello di Paese, ciò che mi rafforza nella decisione di costruire invece un organismo dotato di rilievo e visibilità nazionali.

E in realtà le telefonate del lunedì divengono man mano più frequenti da ogni parte d’Italia: quasi sempre la voce dall’altra parte del filo è rotta e a volte piango anch’io avvertendo lo strazio, che conosco, d’un lutto recente.

Qualcuno cerca solo consigli per districarsi nei processi e nei risarcimenti – e allora il poco che so come avvocato aiuta – ma i più vogliono anch’essi muoversi per evitare che la strage continui nell’indifferenza generale.

In diversi, poi, accettano di rappresentare il Comitato nella loro città.

Tra essi Marcella Castellini, madre della Milano-bene che ha perso solo qualche mese dopo Elena l’unico figlio diciassettenne e che ha raccontato in un bel libro l’angoscioso percorso di tutti noi genitori e rappresenterà insieme a me la struttura in costruzione.

Per esporre le nostre richieste di sicurezza e giustizia incontro con lei e con Haegi, a maggio ’98, il presidente della Camera dei deputati Luciano Violante e poco dopo quello del Senato Nicola Mancino.

Sono i primi dei diversi contatti di quegli anni con figure apicali delle istituzioni che, utili a legittimarci come interlocutori, hanno un peso scarso se non nullo quanto a risultati.

Anche se ascoltano con attenzione le nostre storie, qualche volta commuovendosi, i signori del palazzo dimenticano presto le promesse di agire concretamente, forse perché non siamo appetibili nel calcolo elettorale o perché neanche loro sono in grado di contrastare gli interessi dell’industria motoristica: dirò d’una eccezione importante, ma l’impressione generale è quella d’aver parlato a dei sordi.

Anche da quest’esperienza nasce e prende forza la convinzione, alla base delle successive scelte della nostra struttura, che di gran parte delle morti sulla strada, come di quelle sul lavoro o per calamità naturali, sia quanto meno corresponsabile, per omissione, appunto lo Stato che potrebbe e dunque dovrebbe evitarle.

Intanto il 23 maggio 1998 è stato costituito ufficialmente nella sede dell’Adiconsum il ‘Comitato italiano familiari e vittime della strada’, presenti poco più d’una ventina di genitori o stretti congiunti di persone scomparse, la metà per delega, da diverse città del Centro-Nord: ci sono tra altri il professor Lerario e l’ingegnere Giuseppe Panucci di Roma. Marco Montanari di Verona, Leonardo Carraro di San Donà di Piave, Ottaviano Bertei di Prato.

Le prime sedi sul territorio, si tratta in realtà dei recapiti privati dei responsabili locali, sono a Biella, Milano, Prato, Reggio Emilia, Roma, Torino, Venezia e Verona oltre che naturalmente ad Ascoli, ma è solo l’inizio di un’espansione che finirà col coprire quasi tutto il territorio nazionale.

Ho scritto lo statuto, preparo materialmente nei primi anni tutti gli atti e i documenti della nuova struttura individuandone gli obiettivi e le iniziative e a fine ’98 definisco con l’aiuto dei più attivi tra i nuovi amici il programma del Comitato che farà da base a tutta o quasi la sua attività fino al 2004 e oltre.

Programma 1988 del Comitato familiari vittime della strada

. Educazione stradale come materia scolastica di studio e d’esame;

. campagne di diffusione dei dati relativi alle conseguenze di mortalità, invalidità e spesa sociale della incidentalità stradale;

. obbligo della patente di guida per tutti i veicoli a motore;

. adozione della patente a punti;

. accertamento della idoneità psicologica nella concessione della patente di guida di veicoli a motore;

. obbligo per l’industria motoristica di limitare la velocità possibile nell’ambito della velocità massima di legge;

. obbligo per l’industria motoristica di corredare ogni veicolo di poggiatesta posteriore, airbag, sistema ABS, interruttore antincendio, estintore e tachigrafo;

. duraturo potenziamento delle attività di prevenzione specie in ordine allo stato delle strade e dei veicoli, ai limiti di velocità, alle condizioni fisiopsichiche dei guidatori, alla generalizzazione dei sovrappassi pedonali, ai controlli visivi collegati ai semafori;

. ritiro patente di durata proporzionale all’eccesso di velocità;

. anticipazione della chiusura delle discoteche, generalizzazione dei controlli anti-droga all’interno e sulle vie di ritorno dalle stesse;

. obbligo personale non assicurabile di pagamento aggiuntivo alla liquidazione del danno nei casi di lesioni stradali mortali o gravissime;

. applicazione della pena prevista per l’omicidio preterin-tenzionale in caso di prevedibilità dell’evento da parte del reo;

. subordinazione del patteggiamento al consenso dei familiari nei processi per i detti reati;

. accelerazione delle istruttorie (chiusura entro 7 mesi) e dei processi penali (dibattimento entro 3 mesi) e civili (non più di 2 mesi tra le udienze) per le lesioni stradali mortali o gravissime;

. condanna dei responsabili al pagamento di provvisionale in prima udienza per gli stessi reati;

. determinazione nell’ambito dei valori massimi ritenuti in sede giurisprudenziale del valore del punto di danno biologico,

. liquidazione del danno da morte ai superstiti come danno biologico della vittima

Si tratta d’un programma che comprende pressoché interamente le proposte per la sicurezza e la giustizia che verranno avanzate e in parte attuate nel nostro Paese da quell’anno in poi.

Non ci limitiamo però ad assemblare quelle già nell’aria in Italia o in Europa, ne individuiamo di nuove impegnandoci per esse su tutti i possibili livelli d’opinione e di piazza ma anche di istituzioni e di potere come il Parlamento, il governo nazionale e quelli locali, la Scuola, la Magistratura.

Nei primi anni sono questi, tra molti altri minori, gli eventi di maggior rilievo:

. un convegno a Spoleto nell’autunno ’98 per riunire, ma non mi riesce, le più attive tra le associazioni locali,

. a novembre ’98 la distribuzione a tutti i parlamentari d’un opuscolo che illustra in dettaglio la nostra proposta di modifiche legislative,

. la stesura, che effettuo da solo, d’una proposta di legge che comprende tutti o quasi gli obiettivi del Comitato,

. l’invio pure a mia cura di questa proposta a tutti i Deputati alla ricerca di qualcuno che la porti in Parlamento,

. la sua presentazione alla Camera da parte del siciliano di Forza Italia Filippo Misuraca col numero C/5620 del 29.1.99 (verrà ripresa in altri cinque progetti tra Camera e Senato e, divisa in due tronconi per la sicurezza e la giustizia, di nuovo avanzata coi numeri C/6229 e C/6230),

. a giugno ’99 un seminario a Milano sugli espianti d’organo e sul silenzio-assenso come unico presupposto per l’asportazione ‘a cuore battente’, questione cui il Comitato è assai sensibile visto che giunge appunto dalla strada la gran parte dei ‘pezzi’ utilizzati per i trapianti,

. a novembre la pubblicazione a mia cura dell’opuscolo ‘Vittime della strada’ con 27 storie e foto di figli scomparsi, il primo dei sei che curerò sino al 2004,

. a maggio 2000 la prima manifestazione di piazza a Roma,

. subito dopo, la stesura, la stampa e la diffusione, anche queste a mia cura, delle prime edizioni, ne seguiranno altre, del documento programmatico “Unirsi per fermare la strage stradale e dare giustizia ai superstiti” e dell’opuscolo “Che fare in caso di incidente stradale”,

. dall’autunno 2000 la denuncia a mia cura alle Procure dei responsabili istituzionali della strage stradale, Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, vertici RAI eccetera

. e la diffusione nelle scuole d’un questionario di successo ‘per la vita e la giustizia sulle strade’,

. da ottobre 2000 una serie di iniziative per la riforma del Codice della strada con incatenamenti davanti ai palazzi del potere, fino all’approvazione della legge-delega 85 del marzo 2001 che accoglie alcune delle nostre istanze,

. il 15 dicembre 2001 il convegno ‘Giustizia per la vita’ che organizzo in sede parlamentare col solo e peraltro determinante aiuto del professor Lerario,

. la presentazione in quella sede del progetto d’una nuova legge-delega, anche questa di mia mano, che col numero C1885/2001 e ancora grazie all’onorevole Misuraca che la presenta alla Camera – il testo è tra i Documenti -, sarà il nostro cavallo di battaglia negli anni successivi.

L’insieme di queste attività e la contemporanea costruzione d’un organismo di livello nazionale mi richiedono ogni giorno ore d’impegno tolte al lavoro d’avvocato che qualche anno più tardi finirò con l’abbandonare pressoché interamente.

L’eccezione accennata sopra al disinteresse dei rappresentanti delle istituzioni riguarda l’obbligo del casco per i conducenti di motorino.

Questo obbligo non è nel programma del Comitato ma l’argomento mi sta fortemente a cuore perché se il casco fosse stato obbligatorio Elena l’avrebbe certamente indossato e sarebbe forse ancora viva.

Sul punto Marcella Castellini ottiene per me e una signora sua amica un incontro, il 19 ottobre ’99, con la Ministra per la solidarietà sociale Livia Turco.

Sui divani del suo ufficio racconto per l’ennesima volta della morte di Elena sottolineando ch’è stata appunto la mancata obbligatorietà dell’uso del casco a provocarla.

La Turco m’ascolta attenta, quando ho finito si alza, va al suo tavolo, solleva la cornetta del telefono, compone un numero.

– Ciao, sono Livia.

Qualche frase che non percepisco, poi conclude:

– Guarda che su questo dobbiamo impegnarci … ci conto.

Torna da noi.

– Ho interessato il collega, vedrete che ce la faremo.

Il collega è il Ministro dei trasporti e questa volta, finalmente, non si tratta di chiacchiere, il 7 dicembre la legge 472/1999 rende obbligatorio il casco per tutti i veicoli a motore anche a due ruote.

Il nostro Comitato intanto cresce, perché la strage continua, e nel 2000 si trasforma nella ‘Associazione italiana familiari e vittime della strada’.

Ad aprile 2001 si passa dai due coordinatori nazionali Castellini e Saladini alla presidenza femminile, che sostengo perché credo che la nostra situazione e le nostre richieste siano meglio rappresentate da una madre, della dottoressa Giuseppa Cassaniti, insegnante e direttrice scolastica di Messina.

All’inizio del 2004 l’AIFVS ha numerosi soci autonomamente attivi in diverse Regioni, conta come già scritto settanta sedi-recapito provinciali o cittadine, oltre a quanto più sopra ha organizzato in alcune piazze d’Italia drammatiche manifestazioni di croci e stabilito contatti con strutture affini come l’ASAPS, ha riunito e confortato vittime in tutta Italia e offerto loro una rete d’assistenza legale gratuita.

Roma, incatenamento a piazza Colonna

A questo punto è senza dubbio un riferimento a livello nazionale per la lotta contro la morte sulla strada, appunto ciò che speravo quando nel 1997 m’ero presentato da solo al Codacons di Roma, ancora con le idee confuse ma deciso a realizzare il mio progetto.

Una cosa però non avevo messo in conto, che una comunità di disperati come la nostra potesse essere messa in crisi da lotte di potere.

Tra i genitori dell’Associazione la fede in una vita ultraterrena è un dato comune: la religiosità spesso incerta del ‘prima’ viene infatti rafforzata dalla difficoltà d’accettare che la perdita d’un figlio amato sia senza rimedio e per sempre.

Pochi però ‘credono’ tanto profondamente da ritrovare nella fede che garantisce un’altra vita la serenità che in questa è stata spezzata dal lutto e in diversi cercano angosciosamente, malgrado il divieto della Chiesa, approcci con l’aldilà.

C’è tutto un mondo di sogni, segni, fenomeni elettrici, coincidenze temporali o spaziali, fioriture estemporanee, voci individuate a fatica nei rumori d’una radio e scritture ‘automatiche’ a confermare la speranza che i figli perduti siano solo “andati nella stanza accanto” e che si trovino “nella luce”.

Personalmente impermeabile a fantasie del genere, rispetto sinceramente la speranza altrui sapendo che perdere un figlio per incidente, sulla strada o altrove, è diverso, non so se peggio ma certamente diverso, rispetto al perderlo per malattia.

La perdita immediata è un colpo brutale che non permette d’assorbire lentamente la prospettiva della scomparsa e quella speranza è un lasciarsi andare che può, anche se al prezzo di rinunciare alla ragione, elaborare il lutto altrettanto efficacemente della dura accettazione della realtà.

Aprile 2004, manifestazione in piazza Montecitorio

D’altra parte lo statuto dell’Associazione ne afferma esplicitamente una laicità comprensiva d’ogni individuale prospettiva escatologica, ciò che esclude si possa sposare o rifiutare l’una o l’altra di esse: il nostro stare insieme è e deve essere, appunto per la regola base che ci unisce, volto solo al fine di non perdere la vita sulla strada e d’ottenere giustizia quando ciò tuttavia accada.

Capita peraltro che parlare e agire in nome di qualcuno che s’è perduto, e tanto più se si tratta d’un figlio, crei o rafforzi la coscienza d’essere sempre e comunque nel giusto.

Allora si rigetta anche aspramente ogni opinione contraria alla propria e personalismi, insofferenze e scoppi d’ira rendono difficile lavorare insieme.

C’è una situazione di questo genere quando viene indetta per il 6-8 maggio 2004 l’assemblea annuale dell’Associazione in un albergo a Lido di Classe: alcune componenti del direttivo contestano alla dottoressa Cassaniti un decisionismo che sconfina nell’autoritario e mi chiedono d’aiutarle a sostituirla.

Rifiuto perché non vedo alternative possibili e osservando che il direttivo potrà contenere il protagonismo della presidente: ho torto, me ne accorgerò presto.

Quando entro con un ritardo di pochi minuti nella sala dell’assemblea la signora Cassaniti sta infatti invitando a una preghiera cattolica che lei stessa intona e poi dirige, seguita da tutti i presenti in piedi.

E’ la prima volta che accade, non c’è stato alcun preavviso e il fatto mi turba profondamente come padre che ha scelto per sua figlia un funerale civile e come seguace per quanto modesto di un’altra dottrina, opposta e inconciliabile con le visioni e gl’insegnamenti del Libro.

Dunque m’allontano, mi calmo, torno nella sala a preghiera finita, partecipo come sempre ai lavori e solo il giorno seguente, nel corso del direttivo, chiedo senza alcun accento polemico di verbalizzare la mia dissociazione, nel rispetto della laicità statutaria, dal momento religioso imposto all’assemblea.

Chiusa la riunione, il 15 maggio la signora Cassaniti invia ai componenti del direttivo e ai responsabili di sede una e-mail di quattro pagine, non esattamente il frutto d’un momentaneo scatto d’ira.

In essa denuncia punto per punto le critiche delle sue contestatrici, definisce “provocazione di basso taglio” la mia richiesta di verbalizzazione e comunica le sue “irrevocabili dimissioni da presidente nazionale, da componente del consiglio direttivo, da responsabile provinciale, da socio dell’Associazione”.

Trovo questa e-mail al rientro da una breve vacanza e il 25 maggio la riscontro agli stessi recapiti osservando che per espressa disposizione dello statuto le dimissioni da socio hanno effetto per la sola comunicazione al direttivo e che avendo la Cassaniti lasciato la presidenza occorre sostituirla.

Il giorno seguente l’avvocato Gianmarco Cesari, recente socio non ‘familiare’ e futuro referente legale dell’Associazione, obietta in una sua email che le dimissioni comunicate per via telematica e prive di firma autografa non hanno valore giuridico per cui la Cassaniti è ancora al suo posto di presidente.

Non sono affatto certo che Cesari abbia ragione ma c’è un modo per dirimere ogni dubbio, chiedere all’interessata di dirci se sconfessa l’email di dimissioni – e quindi lo faccio.

Prima che giuridica la questione è morale, si tratta di sapere se i rapporti tra noi genitori di vittime possano svolgersi per cavilli e furberie anziché nella lealtà e nel rispetto reciproci.

Dopo giorni di silenzio la dottoressa Cassaniti comunica, senza negare né adesso né mai che fosse sua la email di dimissioni, senza spiegare in nessun modo chi altrimenti possa averla inviata e usando lo stesso mezzo telematico

appena ritenuto privo di valore dall’avvocato Cesari, che ha deciso di restare e di continuare a svolgere le funzioni di presidente.

Sono sconvolto da tanta disinvoltura ma devo rendermi presto conto, leggendo i loro commenti, che diversi componenti del direttivo ritengono ‘eccessiva’ la mia pretesa di rispetto delle regole che reggono il nostro stare insieme.

E’ esattamente questo il punto, e siccome quel rispetto è un requisito fondamentale per l’esistenza e il corretto funzionamento di qualsiasi società e quindi per la nostra Associazione, chiedo al direttivo di decidere.

ll 5 giugno, in un clima di pesante tensione, una maggioranza peraltro risicata conferma che la dottoressa Cassaniti, per statuto non più socia, è tuttavia ancora presidente.

Allora sono io a dimettermi immediatamente dal direttivo: continuerò per qualche mese a lavorare lealmente per una struttura nella quale riesco sempre meno a riconoscermi, lasciandola poi man mano sino a uscirne del tutto.

Cercherò di portare avanti il mio personale impegno contro la strage stradale aderendo alla diversa struttura creata da altri dimissionari come me che però non riesce a decollare, finendo con l’abbandonare definitivamente il campo.

Intanto quel 5 giugno, appena sceso su una via Nomentana tanto pulita dall’aria di primavera quanto era opprimente l’atmosfera della riunione, l’angoscia d’aver dovuto lasciare la struttura che ho ideato e avviato si dissolve al primo squillo di cellulare.

E’ Marco, a Washington è nata da poco Maia, la mia prima nipote.

La vita continua.

Ultimo cartello in via Salaria

Epilogo

Dopo il mio abbandono l’Associazione italiana familiari e vittime della strada ha continuato a svilupparsi, le sedi locali si sono più che raddoppiate e il sito web dà conto di un’attività a tutto campo.

L’impresa di salvare vite sembra però, appunto dal sito, aver perso il forte slancio emotivo di allora, l’assistenza ai superstiti appare curata più d’una incisiva pressione sulle istituzioni, l’accento sulle ricorrenze di rito suggerisce che la struttura sia divenuta un elemento del quadro utile a far memoria più che a rivoluzionarlo.

Ovviamente non mi spiace che l’Associazione viva ancora, come altre minori intanto sorte a livello nazionale, non ho rimpianti né rancori per aver dovuto lasciarla, e se ne scrivo è perché credo giusto che ne resti testimonianza, avendo cercato invano in quel sito una qualche notizia su come s’è arrivati all’organismo esistente oggi.

Intanto la signora Cassaniti è ancora lì, presidente da un quarto di secolo grazie a un’e-mail fantasma.

Ciò che per me resta è che Elena c’è stata e che è stata una gioia averla.

Il secondo dato è la coscienza che si può essere costruttori anche tra chi distrugge, interessati in una società d’indifferenti, rigorosi nel generale lassismo.

E anche se non basta a superare il dolore sempre vivo della perdita di mia figlia, mi conforta supporre che anche una sola vita sia stata salvata dalla struttura che ho animato per anni nel suo nome.

2014 – marzo 2024

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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