“La storia delle donne si costruisce sulla memoria di ciascuna.
Il racconto della vicenda
personale femminile,
con la sua incontrastata ed
indomita aspirazione
alla propria realizzazione,
fa di essa argomento e materia
di Storia”
(Anna Maria Longo
Dirigente Movimenti Femminile)
Con la storia del tabacchificio di Sparanise, in provincia di Caserta, costruito nel lontano 1956 e definitivamente chiuso alla fine del 2010, l’autore Bruno Ranucci vuole tributare il giusto riconoscimento alle tabacchine, quelle donne, giovani e meno giovani, che nell’arco di quasi un cinquantennio si alternarono in quell’opificio con spirito di sacrificio, (specialmente all’inizio, quando l’automazione era ancora lontana ed il lavoro, stressante e pesante era fatto esclusivamente a mano) e con l’orgoglio e la consapevolezza di rappresentare una ricchezza per la loro famiglia e per il loro paese.
Il titolo, LA FABBRICA DELLE DONNE, nasce dalla presenza della preponderante manodopera femminile (circa il 90%) che lavorava in quella fabbrica di prima trasformazione del tabacco.
Nonostante il campione delle persone intervistate non rappresenti, né poteva esserlo per il gran lasso di tempo trascorso, l’universo di quel mondo femminile, è possibile, tuttavia, ricavare dai loro racconti e dalle loro testimonianze quella transizione da un mondo agricolo ad un mondo industriale che interessò per tanti anni la loro terra e il mutamento della loro condizione di donne, finalmente affrancate da un’atavica subordinazione familiare.
Per l’autore questa ricerca non vuole essere altro che uno dei tasselli di quel mosaico che delinea i tratti della identità di un’intera comunità.
La ricerca si apre con una breve storia del tabacco, dalla sua scoperta alla sua diffusione in Europa e in Italia, con i riflessi che ebbe nella vita economica del nuovo Stato Unitario nato dall’annessione del Mezzogiorno al Regno Sabaudo.
Si passa, poi, alla storia del primo scandalo del Regno Unitario, collegato proprio alla gestione di questo “oro verde”; viene anche rievocato, nel corso della trattazione, un altro grande“affaire”, legato allo scandalo del “tabacco messicano”, che, fortunatamente, sfiorò appena il tabacchificio di Sparanise con il coinvolgimento del suo fondatore, l’onorevole Carmine De Martino, autore di una truffa colossale (miliardaria!) ai danni dello Stato, con l’aiuto del Ministro delle Finanze dell’epoca, Giuseppe Trabucchi, una vicenda che minò, drammaticamente, la credibilità delle istituzioni dell’Italia repubblicana.
La narrazione si sviluppa, poi, con la nascita e le lotte del primo movimento sindacale delle “tabacchine” a Sparanise e della provincia di Caserta, una pagina gloriosa dimenticata, passando per le dirette testimonianze di molte di loro che lì maturarono una nuova coscienza di donna e di lavoratrici, lì conquistarono la loro collocazione nella società, consapevoli dei loro diritti e del loro nuovo ruolo non solo in famiglia, pioniere di una inedita stagione all’insegna del “non solo pane, ma anche diritti!”
Sicuramente gli argomenti trattati – il lavoro delle donne, il rapporto tra campagna e industria, l’emancipazione femminile, il riuso delle aree dismesse – al di là della indifferenza fino ad ora dimostrata da molti, hanno, in realtà, per l’autore, un valore simbolico universale, delineando una storia del suo paese, per certi versi, affascinante, che valeva la pena di essere raccontata e conosciuta anche al di fuori dell’ambito locale.
Molti gli interrogativi che emergono dalla ricerca: come e se nacque una coscienza operaia nelle donne, molte delle quali fino ad allora impiegate come braccianti (se non in posizione ancora più ancillare e subordinata) nei lavori dei campi? Quali furono le condizioni di queste tabacchine e i loro problemi di vita e di lavoro collegati, per la loro nuova collocazione sociale, ad una difficile conciliazione dei tempi famiglia-lavoro?
Quali le loro aspirazioni, i loro desideri, i loro sogni collegati a un possibile raggiungimento del grado di parità uomo-donna?
Certamente la nuova condizione operaia di tante donne, passate da casalinghe o braccianti a operaie, articolò, in qualche modo, la voce balbettante di quante, fino ad allora, quasi non avevano avuto, per consuetudine, si può dire, ancestrale, diritto di parola sulle loro scelte di vita, costringendole ad imparare presto la grammatica dei loro nuovi diritti.
Ecco perché la chiusura dello stabilimento, per certi versi inattesa e abbastanza “confusa” nelle modalità dell’epilogo, travalicò il puro interesse economico e reddituale rappresentando, piuttosto, la fine di un percorso di crescita individuale insieme alla fine di una speranza di cambiare il proprio destino e, con esso, quello di una intera comunità.
La ricerca affronta anche la grave situazione ambientale venutasi a creare con la scoperta avvenuta ancora prima della chiusura dello stabilimento dovuta alla ingente quantità di amianto ivi presente che qualche ex tabacchina ha messo in relazione ai numerosi casi di tumori riscontrati nelle ex addette alla trasformazione del tabacco.
Come pure viene diffusamente trattato il possibile riuso di questo importante manufatto (di circa 70mila metri quadrati) sull’esempio virtuoso del recupero a fini sociali e culturali di numerosi ex tabacchifici della Piana del Sele.
Vengono, altresì, avanzate analisi di una deindustrializzazione del territorio che, tra l’altro, ha favorito un abbassamento della legalità in tutta la zona, arrivando a permettere l’infiltrazione della camorra fino ai vertici della Pubblica Amministrazione.
Le sorti dell’ex fabbrica e del destino della popolazione sono comunque nelle mani dei cittadini: da essi dipenderà se lasciare che venga lasciato campo liberi agli attuali proprietari di fare una grande speculazione edilizia del sito e, anche, che si continui ad essere succubi di clientele vicine alla malavita o ribellarsi e riappropriarsi del territorio e democraticamente essere artefici del loro destino.