Conosciamo Dio come uno sconosciuto!
17 luglio 2022 – XVI domenica tempo ordinario (C)
Conosciamo Dio come uno sconosciuto!
Prima lettura: Signore, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo! (Gn 18, 1). Seconda lettura: Il mistero nascosto da secoli, ora è manifestato ai santi (Col 1, 24). Terza lettura: Marta lo accolse nella sua casa. Maria ha scelto la parte migliore! (Lc 10, 38).
1) La domenica “dell’accoglienza e del servizioâ€. Questo brano del Vangelo di Luca va interpretato bene. Sovente incontriamo donne come Marta continuamente agitate e nervose, e altre donne come Maria che lasciano (o vorrebbero) la famiglia e il lavoro per stare in chiesa. Noi sbagliamo se pensiamo che Maria fosse pigra o passiva. Quando la chiama il Signore, Maria subito si alza; il lunedì di Pasqua, sulla tomba è lei la prima, e poi corre ad avvertire Pietro. Si può, si deve raggiungere questo difficile e necessario equilibrio tra azione e contemplazione. Ma quando il Signore parla, quando ci parla, cosa dobbiamo fare se non ascoltare? Ascoltare non è facile, specie quando la Parola è viva, tagliente come una spada. Niente è più attivo, più felice e doloroso di questa Parola. È precisamente questo che Marta non ha potuto sopportare. Marta non è una donna attiva ma esagitata, non è occupata ma preoccupata. Non è capace di ascoltare tranquilla, lasciando che la Parola la trasformi dentro. Trova quella Parola noiosa e sterile. Si sente condotta là dove non le piace andare. Lei non vuole diventare una donna nuova, e allora si alza con un pretesto, accende il fuoco, fa rumore, interrompe grossolanamente Gesù perché scuota la sorella. Cristo, sempre paziente, non la rimprovera, si limita a difendere la sorella: Marta è rimproverata non perché lavora ma perché non si lascia lavorare dalla Parola; non perché è attiva ma perché è iperattiva. Cristo non loda l’ozio né la pigrizia, ma sa che il peggior nemico è l’agitazione. Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la osservano!
Prima lettura
2) Se riceviamo un invito a cena da chi non ha ricevuto alcun favore da noi, cominciamo a fare congetture. Non ci viene spontaneo pensare che sia disinteressato. Le gentilezze sono in genere riservate agli amici, ai parenti, a coloro dai quali un giorno si spera di ricevere qualche favore. L’ospitalità , basata sul calcolo dei vantaggi, non è biblica. La caratteristica dell’ospitalità autentica è la gratuità e di questa sono modelli in Israele due personaggi: Giobbe e Abramo. Del primo si racconta che avesse fatto costruire la propria casa con quattro porte, una a ogni punto cardinale, per evitare che i poveri faticassero a trovarne l’entrata. Di Abramo è ricordata l’accoglienza premurosa che ha riservato a Dio e che è narrata nella lettura di oggi (Gn 18,1).
3) Egli è seduto all’ingresso della tenda e sta riposando nell’ora più calda del giorno. Abramo, non appena vede i «tre uomini» in piedi presso di lui, corre verso di loro, ordina di portare dell’acqua perché possano rinfrescarsi e li fa sedere sotto un albero. Poi egli stesso corre all’armento, sceglie un vitello e quando tutto è pronto, porge agli ospiti latte acido, latte fresco e il vitello. Questo improvvisato menù ha dato più di un grattacapo ai rabbini perché Abramo, offrendo contemporaneamente carne e latte, viola la più elementare delle disposizioni giudaiche sugli alimenti. È proibito, infatti, associare, durante lo stesso pasto, carne e latticini. Piacque a Dio l’ospitalità di Abramo e, per mostrare quanto l’aveva apprezzata, gli promise un figlio. Sotto le sembianze del povero – il cristiano oggi lo sa – è Dio che chiede accoglienza (Mt 25,31) come un giorno è accaduto con Abramo, alle Querce di Mamre.
Dal Vangelo
4) Prima di entrare nel tema centrale, chiariamo un particolare del racconto: «Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola» (v. 39). Viene rilevata la posizione assunta da Maria: stava seduta ai piedi del Maestro. Non è un dettaglio banale, anche perché il testo originale accentua il dettaglio: «Maria, la quale era addirittura seduta ai piedi di Gesù». Si tratta di un’espressione che ha un valore tecnico ben preciso. Negli Atti degli Apostoli, Paolo ricorda con orgoglio: «Io sono stato seduto ai piedi di Gamaliele» (At 22,3), cioè, sono stato discepolo del più famoso dei maestri del mio tempo.
5) Maria viene presentata come «alunna» di Gesù. Nulla di strano per noi, ma, in quel tempo, nessun maestro avrebbe mai accettato una donna fra i suoi discepoli. Dicevano i rabbini: «È meglio bruciare la Bibbia che metterla in mano a una donna»; e anche: «Le donne non osino pronunciare la benedizione prima dei pasti»; e poi ancora: «Se una donna va alla sinagoga, stia nascosta, non compaia in pubblico». Questa mentalità era così diffusa che si infiltrò anche nelle prime comunità cristiane. A Corinto, per esempio, si seguiva questa norma di Paolo: «Le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare. Se vogliono imparare qualcosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea» (1Cor 14,34-35). Questa era la mentalità del tempo, e si capisce quanto sia stata rivoluzionaria la scelta di Gesù di accogliere fra i suoi discepoli anche le donne. Anche la frase con cui si apre il racconto contiene la stessa provocazione: «Una donna, di nome Marta, lo accolse in casa sua» (v. 38). In quel tempo era ritenuto sommamente sconveniente per un uomo accettare l’ospitalità offertagli da donne. È l’inizio del mondo nuovo: tutti i pregiudizi e tutte le discriminazioni fra uomo e donna vengono denunciati e superati da Gesù. Attenzione: i modelli di ascolto della Parola che ci vengono proposti nei Vangeli sono tutti rappresentati da donne! Non sarà perché esse sono davvero più sensibili e più disposte degli uomini ad ascoltare il Maestro?
6) “Marta, tu ti preoccupi e ti agiti …â€. Marta sembra il ritratto del nostro animo, la nostra condizione quotidiana. Del resto, perché mai dobbiamo fermarci? E come potremmo ormai? Se lo facciamo, siamo subito gettati a seccare sulle sponde cosparse di relitti di quel fiume vorticoso che travolge le nostre esistenze. Chi si ferma, è perduto! E allora “bellum omnium contra omnes!â€. E l’anima? Ma se esiste davvero un’anima immortale, cosa dovrei farne, non ho tempo da perdere con una cosa che non si vede e non si tocca. E non c’è neppure il tempo per una speranza che non sia solo desiderio, per un amore che non sia solo possesso, per una fede che non sia solo abitudine. Tutto sembra svuotarsi sotto il vento incessante dell’affanno; la bramosia è stata chiamata dinamismo, la nostra pace si fonda sul conto in banca, la nostra gloria si chiama ambizione, la conoscenza è diventata strumentale. Ricordiamo il dipinto del Giudizio universale? Tutto il dinamismo frenetico è riservato all’inferno. A grappoli, scompostamente come in preda a cieca voluttà , le anime si precipitano verso la loro pena ancora sotto l’effetto di quella frenesia che ha segnato la loro vita. Chi potrebbe fermare una sola di quelle anime? Fermarsi significherebbe la salvezza, il paradiso!
7) Cerchiamo di cogliere, al di là dei luoghi comuni, il significato profondo di questa scena contenuta nel Vangelo di Luca. Marta e Maria non sono il simbolo di due stati esterni di vita, ma di due atteggiamenti interiori. Non ci troviamo di fronte all’opposizione tra la vita attiva, considerata bassa e inferiore, da comuni mortali, e la vita contemplativa, considerata nobile e superiore, per gli aristocratici dello spirito. Il Vangelo lo insegna a chiare lettere: Marta è “tutta presa dai molti servizi, preoccupata e agitata per molte coseâ€. La sottolineatura è in quel totale assorbimento, in quell’agire assoluto, in quella frenesia della cose, in quel primato del fare, insomma. Di Maria non va sottolineata tanto la sua posizione materiale (“seduta ai piedi di Gesùâ€) ma il suo messaggio, che è il diventare discepolo di Cristo (“la sola cosa di cui c’è bisognoâ€). Quindi, in mezzo alle vicende della vita, occorre sempre tenere aperto un canale di ascolto verso l’infinito. Il nostro essere non dev’essere tutto preso dalla cose e dal fare. Dobbiamo sempre tenere una finestra aperta e lasciar passare la luce di Dio.
8) Com’è possibile rimproverare una donna che lavora ed elogiare una fannullona? Comodo stare seduti in preghiera mentre altri si danno da fare! Un’ulteriore complicazione è venuta dalle interpretazioni misticheggianti di questo brano. Alcuni lo citano per dimostrare la superiorità della vita contemplativa su quella attiva. Si dice che le suore e i monaci – che nella pace dei loro chiostri passano la vita recitando orazioni – hanno scelto la parte migliore. I preti diocesani invece, assorbiti da tante attività parrocchiali e i laici che si dedicano alle opere caritative, anche se compiono sacrifici e rinunce, sarebbero spiritualmente meno perfetti (sic!). L’impiego di questo testo per contrapporre la vita contemplativa a quella attiva è dovuto anche a una traduzione scorretta. Nel testo originale Gesù non dice: Maria si è scelta la parte migliore, ma semplicemente: si è scelta la parte buona; cioè, mentre Marta si lascia prendere dall’agitazione, Maria fa la scelta giusta, si comporta da persona saggia. Marta, la più anziana, si mette subito al lavoro. Sa che un bicchiere di buon vino e un piatto di carne saporita, serviti con gentilezza, mostrano più di qualunque parola l’affetto verso l’ospite. Maria, la più giovane, preferisce starsene seduta ad ascoltare Gesù. È a questo punto che fra le due sorelle si accende il bisticcio che finisce per coinvolgere anche l’ospite.
9) La contemplazione non abita più fra di noi. Non c’è posto, nella nostra società dell’efficientismo e del sorpasso, per chi sceglie il silenzio, l’ascolto. La contemplazione è un’utopia cancellata, anche se dentro di noi avvertiamo poi il bisogno di questa dimensione perduta. Perciò, alcuni anni fa volli trascorrere un giorno di vita contemplativa, in un convento di clausura. Per capire, per cambiare. Subito provai smarrimento, panico. Non siamo più abituati all’assenza di voci, ai grandi spazi silenziosi, alla solitudine con se stessi. Nella cella, avvolta dal silenzio, la vita, là fuori, è come guardarla dall’alto di un aereo. La prospettiva cambia, la geografia diventa interiore, la storia ti appare umile e fragile. Ti sembra di vedere le cose per la prima volta: ciò che davvero vale non è quanto hai lasciato alle spalle, nella furiosa lotta quotidiana, nella babele delle chiacchiere e dei desideri, ma è il piccolo segno di speranza e di gioia, di amore e di pace che dal convento ti orienta verso i valori assoluti.
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Per contatti: francescogaleone@libero.it
PREGHIERA
Tienimi l’ultimo posto, Dio. Quello che non dà troppo nell’occhio,
in fondo alla tavola, più vicino ai camerieri che ai festeggiati.
Perché non so stare con le persone importanti.
Non so vincere. Non sono capace a far festa come gli altri.
Tienimi l’ultimo posto, Dio. Quello che nessuno chiede.
Giù, in fondo al bus sgangherato che trasporta i pendolari della misericordia.
Ogni giorno dal peccato al perdono. Tienimi l’ultimo posto, Dio.
Quello in fondo alla fila. Aspetterò il mio turno
e non protesterò se qualche prepotente
mi passerà davanti. Tienimi l’ultimo posto, Dio. Per me sarà perfetto
perché sarai tu a sceglierlo. Sarò a mio agio e non dovrò vergognarmi
di tutti i miei errori. Sarà il mio posto. Sarà il posto di quelli come me.
Di quelli che arrivano ultimi, e quasi sempre in ritardo, ma arrivano,
cascasse il mondo. Tienimi quel posto, Dio mio (Eric Pearlman).