Frammenti di viaggi mai finiti:

Lisbona, la saudade e il fado

di Vittorio Russo

…quando vuoi ricordare un percorso rapinoso richiami alla mente i tram di Lisbona. Volteggiano fra le colline, ormai pareggiate della città, con stridii di freni nelle curve. Spesso con grappoli di ragazzi appesi ai predellini. Come da noi a Napoli secoli fa. Sono aerei terrestri questi tram, che eseguono imbardate lungo tornanti vorticosi, nei vicoli stretti, nelle piazze odorose di vento atlantico, fra quelle memorie architettoniche così singolari dell’architettura manuelina. Ecco, tutto questo contagia. Contagiano i profumi dei fiori portoghesi, dei garofani che rievocano la rivoluzione del 1974…

La mattina del 25 aprile 1974 una ragazza, Celeste Martins Caeiro, si recava al ristorante in Rua Braancamp con un mazzetto di garofani da regalare al proprietario che festeggiava il compleanno. Per strada c’era trambusto, tanti militari armati e perfino un minaccioso carrarmato. Celeste domandò a un militare cose stesse succedendo e il militare, chiedendole una sigaretta, le spiegò che era in atto una rivoluzione per abbattere il dittatore Marcelo Caetano… Celeste non fumava ma fu felice di regalare al giovanotto un garofano rosso che infilò nella bocca del suo fucile. Fu così che quella diventò la Rivoluzione dei Garofani e Celeste la “menina dos crâvos” (la ragazza dei garofani).

Ma più forte ed evocatore è il profumo spesso che sa di fuoco e di salsedine che spira dall’oceano sterminato che brontola a ponente.

La memoria si spinge negli angoli remoti del tempo, brancica nel ricordo delle età gloriose di questa città, rivisita il tempo delle grandi scoperte e di quel re, Manuele I, che sarà pure stato “afortunado”, come dice il soprannome, ma che fu ferocemente e stupidamente avverso al più geniale navigatore del suo tempo, Ferdinando Magellano. Ma di questo dirò un’altra volta.

La vista sul fiume Tago da Santa Justa toglie il respiro. Radiosa è la Rua do Carmo col Convento. Si colorano di mille luci i negozi e il labirintico Tezenis. Che magnifico scorcio quello del Padrão dos Descobrimentos di Belem, il Monumento delle scoperte, con i profili dei grandi navigatori. Tutti educati da Enrico, il principe che fu detto poi il Navigatore, ad affrontare mari mai navigati prima. Fra tante figure, note e meno note, si distingue quello di Gil Eannes. Tenace e intraprendente fino alla temerarietà. Dopo diecine di tentativi falliti di altri navigatori e tanti fatali naufragi, riuscì finalmente che le sue delicate caravelle a superare il Cabo Bojador. Aprì così la rotta a Bartolomeu Dias e a Vasco da Gama verso la punta meridionale dell’Africa, il Capo Tormentoso come era noto allora prima di diventare Capo di Buona Speranza, e poi verso l’India. Come non rievocare quest’evento parlando di Lisbona? Come non ricordare l’Atlantico impietoso che proprio all’altezza di quel capo della costa africana fracassava gli scafi sui fondali rocciosi?

Lisbona col sole mette addosso un ottimismo che normalmente non ha nel suo DNA. È la luce giusta che glielo conferisce, quella delle mattinate primaverili quando l’aria sa del vento salmastro delle acque dell’Oceano. Si veste allora di sfumature d’oro e le ombre assumono morbidi contorni. Svanisce il grigiore dell’architettura antica e brillano di tinte coraggiose le mura della città moderna.

Ogni angolo assume una sua fisionomia e diventa unico. Da uno di essi puoi godere all’improvviso la bellezza dello scorcio di quel ponte ardito, il “25 de Abril”, sospeso sull’estuario del Tago. Attraversa il fiume avventandosi sulla sponda sinistra, lontanissima e sperduta in una perpetua foschia. Cade poi quasi ai piedi del Santuario di Cristo Re, nel “Bairro” di non ricordo cosa.

Al tramonto, quando la modernità allegra cede alla mestizia, basta una voce, un canto lieve per innescare quello stato d’animo proprio dei portoghesi ma che colpisce anche i visitatori. Si chiama “saudade”. È un termine intraducibile anche se le lingue neolatine ne riverberano immediatamente il senso, Credo, tuttavia, che solo un portoghese della cui identità questo sentimento è parte essenziale sia veramente in grado di percepirne la vastità delle sfumature e perfino la sottile aura di spiritualità che ne completa il significato. Nel termine “saudade” si avverte la latinità originaria (dal latino “solitudo”) che implica lontananza, nostalgia e separazione. Saudade e quello stato d’animo che coinvolge malinconia, senso di perdita e di scoramento, amarezza per la mancanza di qualcosa. È un’ombra che vela gli occhi di sconforto ma si traduce pure in voglia di azione perché accende il desiderio di superamento e di scoperta. Saudade è anche il contrario di solitudine, per quanto paradossale possa apparire, perché s’identifica con quell’urgenza ineludibile di prendere coscienza di sé, con la necessità istintiva di un respiro a pieni polmoni, con il bisogno di guardare oltre l’orizzonte dell’Oceano che minaccia con la scure delle sue onde mostruose le sponde del Paese. È il bisogno proprio di un piccolo popolo condannato dalla geografia all’esilio della lontananza nella propaggine europea più occidentale: il Portogallo come tratto d’unione fra l’immensità oceanica e il continente che le grava addosso.

Saudade, nostalgia di luce, di vita, di futuro, diventa così non ottimismo ma coraggio per conquistarlo, bisogno di qualcosa che non si conosce ma che si vuole esplorare.

La saudade è un’espressione del comportamento che si fissò quando il Portogallo diventò nazione egemone dei mari. Traduceva lo struggimento nostalgico della sua gente che lasciava il Paese per terre lontane e accendeva la malinconia della distanza dagli affetti. Non restava allora che immaginare di “matar a saudade”, come dicono ancora oggi i portoghesi, sconfiggere la saudade ritornando nei luoghi di origine e riabbracciare le persone care. Il “fado” divenne, invece, l’espressione musicale che meglio di ogni altra espressione d’arte tradusse la saudade. Fado, in qualche misura, porta in sé il senso dell’ineluttabilità. Non a caso deriva da “fatum”, il fato dei latini. Ha però piuttosto il valore di destino che meglio ne rende il concetto perché, contrariamente al fato che è immodificabile, il destino può essere trasformato e costruito. Il fado è soprattutto il canto che esprime solitudine e si canta in solitudine, in riva all’oceano che ne accompagna le note col suono poderoso delle onde dalla lunga scia bianca.

L’aria chiara della primavera lisboneta riesce talvolta a fugare la saudade. Tante immagini della città, la tipicità dei vicoli di Chaido e Mouraria con le loro atmosfere che sembrano rimpianti di luce parlano di vita, di futuro e richiamano pure ottimismo e coraggio. Sono i valori del secolo d’oro, il Cinquecento, che vide il Portogallo spiccare il volo alla conquista degli Oceani e delle nuove terre scoperte.

Splendido è il profilo del lungo Tago brumoso con i ragazzi stesi al sole sulle sue gradinate, le “nao” di marmo bianco a rievocare le coraggiose caracche di Magellano e di Tristan da Cunha che dormono sonni di eternità nelle profondità oceaniche delle longitudine più remote. Che incanto gli “azulejos” le tipiche piastrelle dipinte portoghesi come quella di san Francesco che riceve le stimmate! Credo di averla vista “Museu Nacional do Azulejo”.

Lisbona sa essere però città cosmopolita. Ricorda Napoli, ricorda angoli assolati del Maghreb, azalee in fiore, ma anche piazzette fresche di isole greche con i panni stesi ad asciugare. È inconfondibile, infine per il profumo delle sardine arrostite che sembra salire dalle profondità delle sue strade nascoste. C’è in esso la fragranza della quotidianità che disegna il percorso delle vie fra i murali naif e i disegni geometrici delle stazioni e dei sottopassaggi. Cammini fra gente indaffarata fra i colori dei “panama” sospesi agli ingressi dei negozi e alle cimose delle edicole. Non si può dimenticare lo spigolo della casa di Fernando Pessoa in Largo de São Carlos e la statua bronzea del poeta all’esterno del caffè “A Brasileira”. Ogni viaggiatore consegna ai ricordi un’ultima foto di sé seduto accanto alla statua del poeta prima di lasciare la città. C’è tanto da dire ancora. Lisbona è così vasta! Ma mi lascio sommergere dal biancore delle sue cupole e dal rosso dei tetti ordinati solo per fissare nella memoria la semplicità di una città inconfondibile e bellissima…

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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