CORONAVIRUS E DINTORNI – IL TEMPO CHE VERRÀ…
In una trentennale guerra fra Sparta e Atene rievocata in uno studio memorabile di Luciano Canfora, Melo, un’isola alleata di Atene, chiese di non essere coinvolta nel conflitto. Con sottili argomentazioni i suoi abitanti, assicurando ai potenti Ateniesi che avrebbero conservato la loro amicizia, richiamarono a sostegno i valori della fede negli dèi comuni, quelli della democrazia che proprio ad Atene era nata, la comune civiltà e altro. Vista però la freddezza degli ambasciatori ateniesi, adombrarono il ricorso all’aiuto di Sparta se non fossero state accolte le loro ragioni.
Niente da fare!
Gli Ateniesi – e questo la dice lunga sul modo deviato con cui noi interpretiamo il concetto di democrazia – timorosi di perdere non tanto un mediocre alleato quanto la riscossione dei loro tributi, chiarirono con fredda determinazione e con l’arroganza del più forte: «La vostra ostilità non ci danneggia quanto la vostra amicizia.»
Potenza dell’egoismo e della brama di danaro, duemila quattrocento anni fa come oggi, come sempre!
Agli Ateniesi non importava affatto l’amicizia dei Meli, premevano invece le loro imposte. Se non le avessero riscosse, gli altri alleati avrebbero avuto nei Melii un esempio da imitare. Certi, perciò, che Sparta non avrebbe mosso un dito in difesa della piccola isola, gli ambasciatori di Atene conclusero con una frase che si fa storia del “diritto†della prepotenza.
«Mentre ci rallegriamo per la vostra ingenuità », affermarono giudicando dei sempliciotti i Melii che confidavano nell’aiuto degli Spartani, «non vi invidiamo la follia.»
La follia degli isolani era di credere in un sostegno che non sarebbe mai venuto, come poi fu. È una conclusione, questa, che dovrebbe farci riflettere sulle speranze che riponiamo quasi sempre nell’aiuto altrui e non sulle nostre risorse…
Ecco, è proprio qui che volevo arrivare.
In questi giorni e settimane di caotici sconvolgimenti dove ogni capo politico segue contorti fili di logica più o meno sovranista, pochi veramente considerano che solo nell’unità di uno sforzo comune e nel reciproco aiuto dovremmo ritrovarci per uscire dal buio.
Quest’Europa fragile quanto irrinunciabile, opera d’arte meravigliosa e non rifinita, mostra di nuovo i suoi limiti per quella malattia originaria del non-finito che la contraddistingue. Un cataclisma come questo che stiamo vivendo non poteva che mettere allo scoperto nervi tormentati e carni flaccide. Non ho idea di quali difficoltà affronteremo, ma non mi sembra una buona scelta alleviare le pene con la commiserazione e le lacrime. Mi piace credere, invece, che questa pure sarà occasione per testimoniare al mondo la qualità di un’Italia non nata invano.
Non dubito che una volta ancora emergerà il meglio dell’intraprendenza e della fantasia della nostra gente. Dobbiamo solo prendere coscienza delle nostre capacità . Senza piatire ed elemosinare solidarietà e aiuti che non ci verranno da chi, come tempo fa a sproposito qualche imbecille nostrano, dice: “Prima noiâ€. Il massimo contributo non ci verrà dagli altri ma da noi stessi. Amiamolo nel sacrificio questo nostro Paese, riprendiamocelo. Non ne abbiamo un altro. Mettiamo da parte le vane speranze e rimbocchiamoci le maniche come abbiamo sempre fatto nei momenti cruciali.
Perché, parafrasando gli Ateniesi dell’ambasceria ai Melii, mentre possiamo rallegrarci di una sognante visione della solidarietà , sarebbe una follia vivere di sogni irrealizzabili.
Ah, dimenticavo di dire che, come nel destino di chi spera, Melo fu rasa al suolo dagli Ateniesi, i suoi uomini massacrati, le donne e i bambini ridotti in schiavitù.