CAPUA: “LA VITA QUOTIDIANA A CAPUA AL TEMPO DELLE CROCIATEâ€
Una recensione di Antonio Falcone su un prezioso testo del paleografo Giancarlo Bove
CAPUA: “LA VITA QUOTIDIANA A CAPUA AL TEMPO DELLE CROCIATEâ€
Proponiamo all’attenzione dei nostri lettori un ricercatore che scandaglia “brandelli di vita interiore†propri della storia reale, quotidiana, della storia che conta: Giancarlo Bova, paleografo supercompetente e storico accorto.           Â
La proposta passa, qui di seguito, attraverso un brillante articolo di Antonio Falcone, datato “Firenze, 25 novembre 2018â€, che ha saputo selezionare ed esaltare il meglio di un importante lavoro di Bova che addirittura risale al 2001 ed esplora, non senza donarci suggestioni ed emozioni, la quotidiana vita capuana nel periodo delle Crociate. Nondimeno bussare alle porte dell’antico, si sa, è sempre d’attualità viva.
“Altera Roma, la seconda Roma: così nel I secolo a.C. Cicerone definì l’antica Capua, corrispondente alla moderna città di S. Maria Capua Vetere†dove il paleografo vive godendosi quotidiane puntate a Casilinum: “Porto fluviale situato a nord-ovest della città principale (circondata da tre lati dai fiumi) e costituiva un centro abitato di modeste dimensioni, sorto in posizione strategica nelle vicinanze del ponte della via Appia sul Volturno, oltre al punto di congiunzione tra l’Appia e la via Latinaâ€.                                    E proprio Casilinum , l’attuale Capua, cattura dunque il nostro Bova soprattutto per la miniera di pergamene che gelosamente conserva e gli fa assaporare l’ulteriore cittadinanza capuana che, per lui, diventa così duplice, ponendosi accanto all’antica la moderna e contemporanea.
L’interessantissima robustezza della certosina decifrazione di Giancarlo Bova risorge accattivante nella rapida rassegna falconiana e spiega, se ce ne fosse ancora bisogno, le ragioni per cui le pubblicazioni del due volte capuano sono tenute in notevole considerazione, dalle università rumene alla Sorbona, per pregio scientifico e pei conseguenti fasci di luce che ne emergono sino a ribadire, alla grande, la nostra comprensibile fierezza d’essere eredi d’una grande storia oggi purtroppo assai dimenticata e tuttavia da riproporre specialmente alle giovani generazioni come archetipo e sigillo di un riscatto che non giungerà mai tardivo finché del glorioso passato che ci ha preceduto una sola fiaccola rimarrà ancora accesa.
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LE OPERE E I GIORNI note in margine a
Giancarlo Bova: “La vita quotidiana a Capua al tempo delle Crociateâ€, NA 2001
                                                                                                                                    di Antonio Falcone
Le distruzioni (quale quella saracenica dell’841), gli incendȋ, i sacchi, non possono essere mai tanto forti da annientare una città , pur rimasta senza più mura.
Così Capua Vetere sarebbe rimasta in vita, al sicuro nel cuore d’un pioppeto, con le sue vie,
l’asinaria e la vaccara, con i suoi frutti, della vinea e dell’olivetum, a volerla vinta sulla desolazione delle paludes e sulla violenza degli uomini.
Votata all’Assumptio, la città antica non fu abbandonata dagli angeli, da quegli spiriti beati,
lasciati dal buon Dio liberi di danzare sulle sue macerie, come a volerne suscitare nuova linfa, per una sua resurrezione.
In verità la città antica non è mai morta, né nell’aria celeste dello spirito né nella mente terrena dello storico: le due Capue, vecchia e nuova, convivono, sì da augurarcene, noi figli del 2019, l’unificazione.
Il Mito e la Storia convivono, ma la Storia avanza, senza comunque seminare il pà nico né
cancellare la memoria.
Entriamo nella Città federiciana, dopo aver superato gli anni longobardi e normanni.
Capua nuova ha il suo Spazio occupato da hostarie e casali, movimentato da seterie e tintorie, animato da apothece e mulini, di quelli idraulici, costruiti lungo il Volturno, il fiume che si avvolge intorno alla città , per poi srotolarsi lungo la campagna, fino a lambire i cavalli e gli ovini che vi lavorano.
Capua nuova ha il suo Tempo, governato dalla Chiesa, che gli uomini misurano contando i
tocchi del campanile.
Di quegli uomini, delle loro microstorie di vita, si è interessato lo storico Giancarlo Bova,
dèdito allo studio delle pergamene, che sotto i loro “aridi formulariâ€, scrive Bova, nascondono quei “brandelli di vita interiore†propri della storia reale, quotidiana, della storia che conta.
Mosso dalla “curiositasâ€, lo storico capuano interroga le pergamene ottenendo risposte distanti dalla “Grande Storia†cartacea, risposte vicine alla quotidianità dei soggetti sociali, con i loro materiali economici, i codici istituzionali, i condizionamenti culturali, anche con le loro proiezioni immaginarie.
Quegli uomini capuani, che insieme allo storico pur s’interrogano sui grandi temi esistenziali quali la vecchiaia e la morte, intenzionati a non abbandonare la speranza di vivere a lungo, si raccontano facendo i loro gesti quotidiani, espressioni dei loro bisogni d’ogni giorno.
A partire dall’Alimentazione: l’installazione dei forni nelle vicinanze delle chiese; i legumi
a tavola, dai cicera ai pisa alle lenticulae; il piccante equicaseum; la frutta in abbondanza; il
vino per i più abbienti.
Passando all’Abbigliamento: con le cinture di cuoio per gli uomini e le cinture d’argento per le donne.
All’Arredamento: il letto in ferro e i materassi di vegetali e di piume in camera, le pentole e
i tegami di rame in cucina.
Ai Costumi: delle madonne distinte e separate dalle donne pericolanti.
Alla Cultura: scientifica, prevalentemente medica e astronomica; giuridica, di notai e giudici;
letteraria, cavalleresca e amorosa; musicale, con la collocazione dell’organo nella cattedrale
del ’400; teatrale, dalle rappresentazioni sacre ai numeri degli iocolarii e dei buffolani.
Ai Divertimenti: la caccia e la pesca per i più ricchi votati al tempo libero, diversamente dal
bosco e dal fiume utilizzati dai più poveri per la sopravvivenza; il gioco dei dadi, capace di attrarre tutti, ricchi e poveri; le scommesse sui galli da combattimento.
Alle Fiere: di una durata anche superiore alle due settimane, dominate dai porci onnipresenti…
Una variegata galleria di Tipi umani attraversa Capua medievale: dai cavalieri fieri, ciascuno della sua spada, agli ospedalieri rappresentati da fratres e sorores mossi dalla fede religiosa a soccorrere poveri e malati; dagli avari agli astuti; dai tafuri ai giramundi ovvero gli immancabili truffatori e vagabondi.
E passando dalla società laica alla società clericale, anche qui la tipologia è variegata: dall’Arcivescovo di Capua alla truppa dei sacerdoti, non tutti rispettosi dell’obbligo del celibato; dai giudici ecclesiastici ai bibliotecari vescovili, questi ultimi con mansioni anche di cancelliere; dai sacrestani ai nutriti, i monaci allevati nel monastero fin dall’infanzia; fino agli affreschi delle chiese dotati d’una loro animazione, alcuni tenebrosi e inquietanti, altri luminosi e affascinanti, quale quello della Madonna delle Grazie, risalente al ’300, segnalata dallo storico per la sua particolare “bellezzaâ€, comprendente tratti occidentali e orientali, a dirci di Capua città -crocevia di popoli e culture, campagne e porti, di fiumi e di mari, dal Mediterraneo al Nero, dalla Siria alla Persia, fino alla Cina.
Ancora nell’à mbito ecclesiastico una figura spicca perché particolarmente suggestiva, è il
turiferario, così dettagliatamente descritto dal nostro storico: “Si tratta del chierico incaricato
di portare il turibolo (da “tus turisâ€, “incensoâ€), cioè il piccolo vaso di metallo dall’ampia
bocca, sostenuto da tre catenelle e contenente un piccolo braciere per sostenere i carboni sui
quali, durante le funzioni liturgiche, si pone l’incenso onde farne uscire il fumo profumato,
simbolo della preghieraâ€. In quel fumo ci sembra di vedere, odorare, sentire qualcosa di spirituale, d’una spiritualità che aleggia sulla “vita quotidiana a Capua†pur governata dalla produzione e dal commercio, bisognosa non solo di uomini d’affari ma anche di uomini in “preghieraâ€, perché la vita sia vissuta senza dolore, possibilmente con letizia.
Con la stessa letizia spirituale della “domenica delle ghirlandeâ€, ricordata in chiusura dell’ultimo capitolo del libro dedicato alle Feste religiose: quando, la prima domenica di maggio, si celebrava la traslazione del corpo di Santo Stefano da Costantinopoli a Roma, omaggiandolo con corone di rose e di altri fiori.