3 MAGGIO 2020 – IV DOMENICA DOPO PASQUA (A) CONVERSIONE E ANNUNCIO
3 maggio 2020 – IV Domenica dopo Pasqua (A)
CONVERSIONE E ANNUNCIO
gruppo biblico ebraico-cristiano השרשי× הקדושי×
1) Continua la catechesi battesimale. Il predicatore – che parla a nome di Pietro – invita i nuovi fedeli a riflettere sulla loro condizione di figli. Questi discorsi non sono la trascrizione di ciò che Pietro ha detto, ma una sintesi della catechesi data nei primi tempi della chiesa: questa catechesi è posta sulla bocca di Pietro per indicarne l’importanza e l’ufficialità . Nel mondo antico funzionava così nel senso che, per dare importanza a un libro, lo si attribuiva a un personaggio importante: per esempio, a Mosè è attribuito il Pentateuco, a Davide il libro dei Salmi, a Salomone il libro della Sapienza, agli evangelisti i Vangeli ma, non sono essi i veri redattori! I Vangeli non vogliono tanto raccontare dei fatti, quanto rivelare il loro significato profondo; gli evangelisti non sono dei cronisti ma dei teologi. In questo brano, Gesù viene presentato come buon pastore: egli è punto di passaggio obbligato per arrivare alla salvezza; egli è la porta, cioè il sacramento fontale da cui ci viene ogni grazia. In una parola, egli è la nostra pasqua (passaggio): è per Lui che la vita ci viene da Dio ed è per Lui che la nostra preghiera sale a Dio. “Io sono venuto perché abbiano la vita, in abbondanzaâ€. Questa conclusione illumina tutto il brano, che possiamo dividere in due quadri: nel primo, Gesù parla del pastore e del ladro (vv. 1-6); siccome i suoi interlocutori non comprendono che Gesù parla di sé stesso, nel secondo quadro, egli si definisce chiaramente “la porta delle pecore†(vv. 7-10).
Pastore buono, anzi, unico!
2) Un mio amico non riusciva a trovare nessuno disponibile, anche offrendo una buona paga mensile, a pascolargli il gregge. Vita dura quella del pastore! Allontanarsi per settimane, non vedere che pecore e pascoli! La loro vita è amara più che dolce, sofferta più che goduta, penosa più che bucolica. Non occorre andare in Israele; anche il nostro Sud ci offre ancora pezzi di questo mondo primordiale. Chi accetta questo lavoro, finisce per affezionarsi agli animali: le lunghe giornate e nottate trascorse insieme fanno sì che il pastore si senta più un padre che un padrone. Queste realtà il Signore le conosceva bene, come i suoi ascoltatori, popolo nomade e dedito sulla pastorizia; le sue parole non erano nuove, come forse a noi moderni. Gesù, buon pastore! Non pensiamo alle statuine di gesso, a Gesù con la boccuccia a ciliegia, e l’agnellino sulle spalle, simile a un batuffolo di cotone. Se leggiamo il Vangelo con attenzione, ogni leziosaggine scompare, il linguaggio diventa ruvido: “E’ un ladro e un brigante … Il ladro viene per rubare, uccidere, distruggereâ€. Ma è presente anche tanta tenerezza: “Chiama le sue pecore una per una, e le conduce al pascoloâ€. Gesù dice una frase forte: “Quanti sono venuti prima di me, sono tutti ladri e brigantiâ€. Frase che non si potrebbe ripetere in un salotto o in una università ; ma nella sostanza la frase resta vera. Quante voci ci hanno chiamato, prima e dopo quella di Cristo, da quella di Socrate a quelle dei “nuovi filosofiâ€. Non erano certo ladri e briganti, però solo il Cristo ha dato la sua vita per me, per ognuno di noi. Siamo pecore? Che importanza ha? Siamo pecore tutti; tutti facciamo parte di qualche gregge o tribù o circolo o gruppo o chiesa o, Dio non voglia, di qualche branco. Il gregge di Gesù non rende schiavi, non porta al vizio e alla rovina. Buon pastore? Forse molto meglio dire: pastore unico!
Io sono la porta
3) In tutto l’antico Medio Oriente il sovrano era immaginato come un pastore. Nelle prime iscrizioni mesopotamiche, “pascere†è sinonimo di governare; il faraone era chiamato “pastore di tutte le gentiâ€. Per comprendere meglio l’immagine del pastore, dobbiamo fare riferimento alla vita palestinese del tempo di Gesù: l’ovile era un solo grande recinto; alla sera, i diversi pastori conducevano le pecore all’ovile, ove si mescolavano a quelle di altri pastori. L’ovile era un recinto circondato da mura di pietra, sulle quali venivano posti fasci di spine per impedire alle pecore di uscire e ai ladri di entrare. Durante la notte, uno dei pastori vegliava, mentre gli altri dormivano: armato di un bastone, si posizionava all’entrata dell’ovile – che non aveva porta – si accovacciava e diveniva egli stesso la porta. Quando Gesù ha detto “Io sono la porta†faceva riferimento a questo. A nessuno piace essere paragonato a un gregge, a una pecora, tuttavia l’immagine della pecora suggerisce bene la nostra condizione: siamo privi di qualsiasi difesa contro il lupo rapace. Cristo non invita a rinunciare a se stessi o a praticare una cieca sottomissione; non è un populista che manipola le folle, né uno sciamano o un carismatico fanatico; e non è d’accordo con quanti vogliono un gregge chiuso e obbediente: egli va in cerca delle pecore lontane o smarrite. Il verbo “condurre fuori†(á¼Î¾Î¬Î³ÎµÎ¹/exaghèi) è lo stesso adoperato nell’Antico Testamento per indicare l’esodo (Es 3,10; 6,27). Quella di Gesù è una liberazione: toglie il gregge dal recinto, dall’atrio dell’istituzione religiosa giudaica, non per rinchiuderlo in un altro recinto, ma per dare ad esso la piena libertà . Infatti, l’evangelista scrive che quando Gesù “ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voceâ€. Quindi, Gesù non rinchiude le pecore in un altro recinto, ma dona loro la libertà . Al mattino, infatti, una scena allegra: ogni pastore entrava nel recinto, chiamava le sue pecore, che riconoscevano il timbro di voce, e lo seguivano. Notare l’insistenza sulla “voce del pastoreâ€, “che è ascoltata†(v3), “riconosciuta†(v.4), distinta da quella degli altri (v.5). Anche dopo la risurrezione, Gesù verrà riconosciuto per la sua voce. L’immagine del pastore evoca anche l’idea della vita come viaggio: “Siamo in cammino. Le malattie, i disagi, i dolori … sono mali d’esilio, sono avvisi di lontananzaâ€, diceva Léon Bloy. “L’uomo è un cavo teso tra la bestia e l’oltre-uomo, un cavo al di sopra di un abisso. La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo†(F. Nietzsche).
Solo chi ama può conoscere
4) Cristo vuole che noi lo conosciamo come egli si conosce, come il Padre lo conosce. Tale esigenza ci spaventa; anche nella migliori famiglie è raro conoscersi veramente; pensiamo che sia pericoloso. Chi oserebbe dire: “Mia moglie conosce me come io conosco mia moglieâ€? I genitori vogliono conoscere tutto dei figli, ed è anche giusto, e se anche i figli conoscessero tutto del padre e della madre? Bisogna veramente amare per desiderare di mostrarsi come siamo, con le nostre odiose colpe, i nostri vergognosi pensieri, e con quello strano resto di innocenza che ancora è presente in ognuno di noi. Sappiamo che il Signore ci conosce bene, ma di questo abbiamo più timore che gioia; dal catechismo sappiamo che Dio vede tutto (il famoso occhio nel triangolo!), e pensiamo quasi di essere spiati e condannati, invece di pensare che ci segue per aiutarci. E’ questo l’unico lavoro degno di un padre e di un Dio; è questo il primo articolo della nostra fede: “Credo in Dio, padre onnipotenteâ€, cioè sempre pronto a perdonare, a dare fiducia, ad accogliere ogni figlio prodigo e dissoluto!
Il Signore è il mio pastore, nulla mi manca
5) Proviamo, davanti a queste parole, un senso di pace e di sicurezza. Ci sono pastori che mungono, tosano, macellano, divorano le pecore, senza pietà . Del tutto diverso è Gesù! E noi? Sappiamo distinguere la voce del “buon†pastore? Attorno a noi, in questo zoo umano, sentiamo ruggiti e ululati; Machiavelli stesso raccomandava al “principe†di essere “lione†e “golpeâ€, ma poteva anche aggiungere “serpente e ienaâ€. Oggi non è facile parlare del papa, dei vescovi, dei sacerdoti in termini di pastori. Molte deformazioni storiche gravano sull’immaginario collettivo dei credenti. Il papa, per esempio, da molti non è visto come il centro di unità per tutta la chiesa, ma come un capo politico, un astuto diplomatico, un monarca assoluto. Il vescovo non è visto come il centro della chiesa locale, il padre e il maestro della famiglia diocesana, ma come un solenne dignitario, un alto funzionario. Il parroco e i sacerdoti non sono visti come i pastori dedicati al loro popolo, ma come i burocrati che curano delle pratiche, o i potenti cui chiedere raccomandazioni. I fedeli hanno anche ragione quando si mostrano esigenti e critici verso i loro pastori, ma devono anche manifestare loro affetto. La chiesa, anche se sbaglia, resta sempre una madre! Il cardinale Newman, convertitosi dall’anglicanesimo al cattolicesimo, ebbe molto a soffrire perché odiato dai protestanti e incompreso dai cattolici; portò la sua croce in silenzio; occorre imparare a “morire come grano nel campo della Chiesa, e non come ribelli rivoluzionari davanti alla sua porta†(K. Rahner). La differenza tra Martin Lutero e Francesco è solo e tutta nell’obbedienza: Lutero si è messo contro il papa, ha preteso la conversione degli altri, ha spaccato in due l’Europa; Francesco ha convertito se stesso, e “sua dura intenzione ad Innocenzo aperse / e da lui ebbe primo sigillo a sua religioneâ€.
Pastori sono anche i genitori
6) E’ possibile anche interpretare la parola del “Buon Pastore†in chiave familiare: i genitori e i figli. A prima vista, l’amore tra genitori e figli è il più limpido e il più nobile. L’amore paterno e materno è il prototipo di ogni autorità : non a caso i superiori religiosi si fanno chiamare abate, padre, papa; e le autorità civili si fanno chiamare padre della patria, re buono, padre dei sudditi. Ad una lettura più profonda, l’egoismo può rovinare anche i rapporti tra genitori e figli, quando, al centro della famiglia, non viene messa la persona dei figli ma quella dei genitori, con i loro progetti proiettati sui figli, dai quali ci si attende di essere ripagati dopo una vita di sacrifici. In questo modo, anche i genitori, che dovrebbero essere “buoni pastori†diventano mercenari, perché non servono i figli, ma si servono dei figli, anche per finalità nobili ma estranee ai figli. Dare la vita: un gesto che non si esaurisce nel solo momento della generazione; il figlio deve nascere alla vita, ma anche al mondo, e questo è possibile solo se il “genitore†diventa anche “padreâ€, senza cadere nella tentazione di riprendersi quella vita generata. Maria, salus infirmorum, ci protegga da ogni male! Buona Vita a tutti!      Â
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